DOMES OF SILENCE, THE – Mescaline

Oxford non è solo sede di una delle università più prestigiose e rinomate nel mondo, è anche luogo di provenienza dei Domes of Silence, quintetto giunto all’esordio con “Mescaline”. Di peyote i cinque ne devono aver preso per aver partorito un disco del genere: tre quarti d’ora di puro rock psichedelico, influenzato a detta della band (e dell’etichetta che li promuove, la Shifty Disco) da Black Sabbath, Primal Scream, The Fall, Neil Diamond e Led Zeppelin. In realtà tra i microsolchi di questo lavoro si percepisce una certa nostalgia per quel suono neo psichedelico partorito nei primi anni ’90 in Inghilterra (Dreamgrinder, Tubilah Dog) e negli Stati Uniti (Dragline, Flaming Lips, Voodoo Gearshift). Un rock lisergico, visionario, che alterna a terribili sfuriate elettriche soavi armonie ‘beatlesiane’.È questa la strada percorsa da Sean (voce), Carl (chitarra), Charlie (basso), Tony (chitarra) e Alex (batteria). Luci abbaglianti e pillole psicotrope, trip magici in dirigibili fatati e stati di trance apparente. Brani come “Silver Buddha”, “Lost Weekend” o la bellissima “Jenna” (dedicata a Jenna Jameson?) volano alti nel cielo della psichedelica, accomunando la band inglese a colossi odierni come Dead Meadow e The Black Angels – pur con le dovute differenze di stile. “Tarnished Evidence”, “Trying to Get you” e “Twilight” puntano sul lato melodico (anche se ‘sporcato’ da una certa oscurità di fondo), mentre un riff cattivissimo come quello che traina “Utopia” ci getta in faccia una ruvidità tutta garage. Sono momenti come questi a fare di “Mescaline” un album completo e da godere sotto ogni punto di vista.
D’altronde come si fa a rimanere impassibili di fronte alle atmosfere liquide create da chitarre, hammond e piano fender che la title track e “Selfless” mettono in mostra. È una piacevole utopia ma vale davvero la pena viverla fino in fondo. Restando in doveroso silenzio.

Alessandro Zoppo