DONKEY BREEDER – Ergot
Un altro interessante gruppo di post-psichedelia sono i Donkey Breeder, quartetto modenese all’esordio con “Ergot”, Ep autoprodotto di oltre 35 minuti che si differenzia un po’ dal resto dell’attuale panorama per la robusta connotazione prog. La prima “Five Quarters Collapse” è uno showcase ben allestito (e ben suonato) di numerose variazioni che pescano dai Don Caballero ai Pelican, date in mano ai Rush (e in parte ai Tool, ormai praticamente onnipresenti), e si contraddistingue positivamente anche per gusto e mood sensoriale.”Yorkshire” ripropone avvolgente rifferama e introspettive partiture acustiche, riuscendo a ricreare atmosfere evocative supportate dal feeling della solista. L’attacco di “Kala-azar” è orchestrato dall’ottimo basso di Vale e dischiude forse il pezzo più incisivo, giocato su acri contrasti heavy e fusion. Nella seconda parte del dischetto “Incaged” e “Empty Cores” uniscono il post-rock arioso dei primi anni 2000 e i Crimson più spigolosi, e va da sè che molte parti non sono certamente a livello dello stratosferico combo di Fripp, ma nel complesso sono brani che si difendono facendo la loro figura. Una menzione a parte va all’ultima “Unexpected Waterfall Effects” che pare scatenare tutte le forze della natura, grazie all’ultra-epico riff portante e i solismi in delay della chitarra di Alessio, influenzata in parte pure da Porcupine Tree, Motorpsycho e Red Sparowes.
Le premesse sono solide, magari una maggiore concisione avrebbe giovato ulteriormente, ma ciò non toglie che i Donkey Breeder posseggano già un imprinting personale, perciò vanno senz’altro ascoltati. Già appetibili, con un’ ulteriore maturazione potrebbero farne sentire delle belle, anche a gruppi più blasonati.
Roberto Mattei