DOVE – Dove

Qualcuno parlando dei Dove ha ricordato i tempi in cui i gruppi hardcore iniziavano a scoprire i vecchi “dinosauri” che negli anni ’70 crearono l’hard rock. Riflessione azzeccata se si ascolta questo dischetto, tra l’altro proveniente da una band già nota in passato per la militanza dei suoi membri (il cantante e chitarrista Henry Wilson) nei Floor (ormai sciolti) e nei Cavity.Il primo disco omonimo dei Dove è un continuo assalto dove l’energia e la forza sono gli elementi cruciali. Il songwriting spesso è acerbo, non a caso l’unico difetto riscontrabile è la ripetitività che fa capolino in alcune fasi. Nonostante questo limite, poco più di mezz’ora basta per rendere l’idea di cosa ci si trova di fronte. Heavy psych rock plumbeo e tonante, slabbrato e dal taglio doomy. Sono evidenti le radici hardcore (la bordata “Goes without saying” è eloquente…) ma risultano ben mescolate con un suono cupo e asciutto, di chiara ascendenza ‘sabbathiana’.
Per certi versi sono presenti delle assonanze con gli High On Fire di Matt Pike: l’aggressività delle chitarre, le ritmiche compresse, il cantato sofferto e rabbioso. Per altri aspetti invece vengono alla mente gruppi come Mastodon e Keelhaul, gente senza compromessi, che ha fatto evolvere l’hardcore verso nuove forme, contorte e contaminate. Lo dimostrano le costruzioni ardite sulle quali poggiano brani come “This you can trust” o “You and I”.
Altrove invece sono i riff pieni e debordanti di Wilson a prevalere, creando autentici vortici caliginosi del calibro di “Twenty three twelve” (un forsennato rullo compressore!), “Without warning” e “Sight and seen”.
Un ottimo disco dunque questo esordio dei Dove. Piacerà sicuramente ad ampie fasce di pubblico: gli amanti dell’heavy rock e del doom ma anche chi cerca nuovi stimoli dai canoni ristretti dell’hardcore.

Alessandro Zoppo