DOWN – III: Over The Under

Charles Baudelaire, Paul Verlaine, Gabriele D’Annunzio e i Down. Il punto di contatto tra questi tre poeti e la band della Louisiana? Potremmo dire che il simbolismo abbia “metaforicamente” ispirato la band nella composizione del loro terzo lavoro in studio, perchè nel simbolismo la natura invia segnali interpretabili dal solo poeta, il quale era capace di decifrare i messaggi della natura e decifrarli per il “cieco” spettatore. Potrebbe, ma alla fine si tratterebbe esclusivamente di un’ipotesi malsana, ma non così peregrina ed assurda: la natura ha realmente ispirato i Down, si è ammantata da musa ed ha indicato loro parte della strada da seguire in questo Over the Under.Il riferimento è diretto ai terribili eventi del 2005, quando l’uragano Katrina colpì in maniera catastrofica la costa pacifica degli Stati Uniti, in particolar modo New Orleans, la città in cui vivono i ragazzi. Nel momento in cui la tua vita viene sconvolta da un avvenimento del genere, nulla è come prima in ogni caso. La più grande disfatta economica, una delle più gravi per il numero di morti, interi quartieri sommersi dall’acqua e dal fango, senza la possibilità di trovare un colpevole, un responsabile, un capro espiatorio. Puoi solo piangere e risorgere, combattere e faticare per cercare di salvare il salvabile, sperando in tempi di recupero ridotti. Ma puoi ricostruire e rimettere in sesto la tua casa, la tua attività commerciale, uscire di casa a distanza di mesi dall’uragano e rientrare nello stesso bar in cui eri seduto quando è scoppiato fuori quell’inferno liquido. Potrai ricominciare da capo, ma sarai inesorabilmente segnato nella tua anima, sentendo ancora bruciare i tuoi occhi per le lacrime e la rabbai, le vene pulsare impazzite come se ti fossi fatto uno speedball di nitroglicerina e adrenalina misto a paura ed LSD. E’ il peso del mondo che ti schiaccia, quando la tua bella casa nel quartiere residenziale assomiglia alle case di fango alla periferia di San Paolo. E’ l’urlo in gola che ti ha scartavetrato l’anima, esplodendo come se potessi contrastare quel disastro naturale con la tua voce, con la tua rabbia e con la dimostrazione che l’uomo sarà sempre capace di una ultima risorsa inestinguibile, da centinaia di anni. Riemergere quando si è toccato il fondo, riemergere lottando per risalire e tornare a galla. Sopra il minimo, Over The Under. Certo, il secondo disco mancava da cinque anni (come il secondo è stato pubblicato ben sette anni dall’esordio, N.O.L.A. Del 1995), per cui è assolutamente ovvio pensare che alcune tracce fossero già presenti, magari proposte nell’immensa attività concertistica della band. Ma è stato questo natural distaster (per citare gli Anathema) che ha rafforzato l’intento di creare una nuova colonna dsetinata a sorreggere l’architrave dello stile down, un marchio di fabbrica che ha conquistato sempre più proseliti, al punto tale da riuscire ad appassionare anche chi non ascolta necessariamente sludge o è appassionato dei progetti da cui provengono i vari musicisti (Crowbar, Pantera, Corrosion Of Conformity, Eyehategod e gli altri meno famosi, come i Mistyk Krewe Of Clearlight, Superjoint Ritual, Viking Crown, necrophagia o Christ Inversion). Tuttavia c’è da dire che questo disco è diverso dai precedenti, senza ombra di dubbio all’ascoltatore dotato di buon orecchio non sfuggiranno alcune novità ed elementi che, pur avendo a che fare con influenze che spuntano dal passato, sono sicuramente diversi rispetto agli altri due dischi. I brani nel tipico stile del gruppo ci sono e sono, anche numerosi, rassicurando l’ascoltatore e l’affezionato che il cambiamento non sarà mai eccessivo e l’attitudine non cambia (3 suns and 1 star, N.O.D., The Path), già dalle prime battute. La premiata ditta Windstein/Keenan continua a sfornare ottimi riffs ed assolit, con alcuni passaggi in cui osannano Iommi; ma sicuramente la prestazione migliore del disco è fornita da Phil Anselmo, che riesce a ritrovare quella potenza e personalità, che lo aveva reso famoso ai tempi d’oro dei Pantera. La voce è il vero valore aggiunto perchè diventa interpretazione sentita ed ispirata, costruita sapientemente per ogni singolo brano, cercando di sviluppare quelle sfumature e quei particolari che intensificano e valorizzano la melodia. I tempi di Nola sono realtivamente passati, perchè questa volta gli amici si riuniscono per dare voce e suoni alla loro paura e rabbia, musicando e dando forma a qualcosa che alberga dentro di loro e che non può essere compreso, se non lo si vive direttamente. Tornando al discorso novità, questo disco appare come il più maturo e sentito, con brani-frontiera che evidenziano il cambiamento mano mano che si scorre nell’ascolto : da “on march the saints”, scelto come singolo perchè il più orecchiabile e accattivante ad un immediato ascolto, si apre la stagione del grande blues e del lato più “sperimentale” della band, in cui si abbandonano talvolta le virate più sludge/metal (che continuano ad essere presente, come in Mourn, Pyllamid) per dedicarsi a momenti di intimo e appassionante blues (Never Try), misto ad un mood anni ’70 , capace di sfociare addirittura nella psichedelia come His Majesty the Desert. La second aparte è caratterizzata da brani molto più lunghi, più curati e studiati, ma senza necessariamente perdere l’aggressività, alternandosi in un gioco di piano-forte come in un sistema di scatole cinesi. In sintesi i Down can’t do no wrong, questo è appurato. Forse qualcuno dirà che non siamo ai livelli di Nola, visto che sono irraggiungibili. Ma ricordatevi che ogni disco dei Down è un mondo a parte, con i suoi crismi e le sue regole, incapace di essere confrontato con gli altri due. Dedico questo disco a tutti coloro che hanno perso qualcosa a New Orleans nel 2005 e nella zona di Cagliari il 22 ottobre di quest anno. Io tre giorni dopo stavo dando una mano, immerso nel fango fino alle caviglie, cercando di dare il mio aiuto anche se non certamente non conoscevo i proprietari di quella casa. Posso capire cosa vuol dire perdere tutto e lottare per salvare quello che rimane, nulla è definitivamente perduto finchè non si smette di provarci.

Gabriele “Sgabrioz” Mureddu