DRAGONAUTA – Luciferatu

Dopo le positive premesse create nell’underground stoner e doom grazie allo split in compagnia dei Los Natas, finalmente giunge il momento del primo full lenght sulla lunga distanza per i Dragonauta, formazione argentina che in questo “Luciferatu” sfodera una prova davvero degna di nota. Messi da parte i problemi avuti in seno alla line up, la band capitanata da Federico Wolman volta pagina e ci propone oltre 50 minuti di doom eclettico e visionario, dove si mescolano sonorità intricate e atmosfere lugubri. I Dragonauta ormai sono un gruppo maturo, non hanno più bisogno di stantii punti di riferimento: il loro doom sa essere avvolgente e al tempo stesso gelido, incentrato su una perizia tecnica notevole che consente ai cinque di passare da stacchi jazz a costruzioni progressive, senza disdegnare incursioni in campi sonori prettamente metal.
La base ritmica composta da Ariel alla batteria e Martin al basso crea tappeti pulsanti sui quali si adagiano le chitarre ora cupe ora ariose di Daniel e Hernàn (in realtà entrato nella band dopo le registrazioni) e la voce cavernosa di Federico, epigono del più demoniaco di tutti i cantanti doom, Mr. Lee Dorrian.

Già l’iniziale “Bruta-Vu (Nijo del Diablo)” lascia presagire quanto ci attende nell’arco dell’ascolto: vocalizzi strazianti uniti a riff tirati e compatti che si placano solo per lasciare spazio a incredibili aperture psichedeliche prima di riprendere a macinare come un carro armato. E’ come se Black Sabbath, King Crimson, Angel Witch, Saint Vitus, Cathedral ed Electric Wizard si unissero in un circolo maligno e dessero vita a brani come la successiva “TomegaPentagram”, il cui incipit sognante, tra il blues ed il progressive, cede il passo ad una colata di lava bollente che unisce doom e metal classico.

Stralunate sequenze jazzate, chitarre affilate e fughe oniriche dal sapore latino rendono “Vidrio negro” veramente sorprendente, mentre “The SuperChrist” ci trascina in una dimensione lovecraftiana dopo averci estasiato con un’ampia dose di psichedelia lisergica. Il colosso centrale “Antologia de un ombre santo” (quasi 10 minuti di durata) può essere considerato la summa del sound targato Dragonauta: arpeggi delicati e riff ossessivi, destrutturazioni prog e ritmiche quadrate, è un susseguirsi di grandi emozioni che culmina in un roboante assolo di batteria, un vero tuffo negli anni ’70!

Senza poter essere tacciati di sterile revisionismo, i cinque argentini proseguono la loro marcia infernale con “Powerchild”, oscura invocazione alle forze del male dove il cantato di Federico si divide tra parti melodiche ed altre evocative. Terrificante è l’unico aggettivo che può essere utilizzato per definire “Funeral magico”, altro episodio di doom psichedelico che fa da preludio alla conclusiva, angosciosa “N.J.G.”, sigillo finale di un’opera che tutti i fan della musica del destino hanno il dovere di fare propria.

Da segnalare che nel cd è inclusa una ricca sezione multimediale che comprende anche un video di circa 20 minuti. Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio se lo faccia passare presto…
Come on now, let’s fuckin’ doom!

Alessandro Zoppo