DYSKINESIA / CORPOPARASSITA – Split Ep

La scena italiana merita rispetto, è un suo diritto ed è un nostro dovere: ad ogni situazione di diritto corrisponde un simmetrico dovere, ad ogni posizione di potere equivale uno status di soggezione. Sono le basi del diritto, le basi della nostra società e senza questo gioco di specchi e di contrasti tutto l’equilibrio precario finirebbe nella dissoluzione. La scena italiana merita attenzione e noi non possiamo esimerci da quest’obbligo. Fossero tutti così piacevoli gli obblighi, allora l’Italia sarebbe il paese delle eccellenze. E in tema di eccellenze non si può non parlare della Frohike, dove il rooster e la cura dell’artwork rendono quasi obbligatorio l’acquisto dei loro lavori. La scelta di materiali di recupero e l’attitudine indie (in senso buono) e doityourself pescano a piene mani da ciò che ci circonda, utilizzando sughero e cartone, plastica e pvc in una via di mezzo tra National Geographic e Banksy. Questa volta alla giostra prendono parte due band del Nord Italia, provenienti da Alessandria e Piacenza, ma con uno stile che non può limitarsi a connotazioni spaziali e territoriali.Monickers che richiamo la biologia e la terminologia medica, come Dyskinesia e Corpoparassita, peraltro non auguriamo a nessuno di averci a che fare perché non sono assolutamente bucolici momenti di gioia ed armonia del nostro organismo. La sensazione che comunica lo split è la stessa che si potrebbe provare qualora fossimo rinchiusi in un sanitarium abbandonato, in un ospedale psichiatrico anteguerra dove tutto ormai è corroso dalla ruggine e dalla muffa. Apparecchiature per l’elettroshock, tavoli operatori macchiati da acidi e sangue, l’odore della formaldeide e l’eco delle urla soffocate in bavagli e morfina. Paesaggi dissoluti e distorti, creati dalle sonorità riverberate e destabilizzanti delle due band. Una scelta dei titoli che è perfettamente azzeccata, nel suo insolito bilanciamento tra l’approccio scientifico ed asettico ed il coinvolgimento emotivo.
I Corpoparassita stendono tappeti di drone ambient, frammentato e soffocante: sono claustrofobici come gli OvO ma, a differenza di questi, puntano molto di più sulle atmosfere dilatate e prive di punti di riferimento. Depresizing yourself. I Dyskinesia si affacciano su scenari postapocalittici, territori dove l’alienazione è la diretta conseguenza di ciò che vediamo: baracche abbandonate, con la vernice scrostata e gli infissi cadenti, ruote panoramiche in disuso, cigolanti e polverose. Lo sludge che incontra la psichedelia ed il drone, sotto un cielo cremisi in cui le nuvole sono un ricordo e le scie chimiche ne hanno preso il posto. Tuttavia, perché perdere tempo con queste immagini pittoresche, così solari e vacanziere? Forse perché è molto più semplice descrivere così la musica, mutando l’uso primario dei sensi, piuttosto che descrivendo per filo e per segno i cinque brani (tra l’altro “Concetto falsificato di Dio” è uno dei titoli più belli del 2010). Promossi a pieni voti, in attesa di una ulteriore conferma.

Gabriele “Sgabrioz” Mureddu