Furious Barking – Theory of Diversity

C’era un tempo in cui colossi oscuri e contorti come Voivod e Dark Angel dettavano legge. Era la seconda metà degli anni ’80 e dischi quali ‘Killing Technology’, ‘Darkness Descends’, ‘Nothingface’ e ‘Leave Scars’ rivoluzionavano i canoni del thrash metal con sapori brutali e cibernetici, un tecnicismo formale portato allo spasimo e tematiche aggressive di critica sociale e fuga dalla realtà. Idee trasposte in musica da band misconosciute eppure gloriose come Atrophy, Forbidden e Infernal Majesty.

Erano gli anni della presidenza Reagan, mentre in Italia trionfavano scudi crociati e garofani pigliatutto, prima che lo tsunami Mani Pulite facesse piazza pulita di tutto e (più o meno) tutti. Angoscia condivisibile da esprimere in aggressione sonora. È in questo contesto che si sviluppa il progetto Furious Barking, cinque ragazzi di Ascoli cresciuti a pane e metallo. Come dei Razor cancellati del loro lato divertito ed immersi in pieno voivoda, Francesco (chitarra ritmica), Giorgio (basso), Fabio (chitarra solista), Massimo (batteria) e Rob (voce) danno vita ad un caos controllato e incandescente.

Tra citazioni da Sean S. Cunningham e nascosto esoterismo, i cinque avviano il progetto nel 1988 e dopo l’EP ‘De-Industrialized’ e una serie di demo, giungono nel 1992 al debutto ‘Theory of Diversity’. Disco rimasto per ben sedici anni nel cassetto causa scioglimento del gruppo, riportato alla luce dall’interessamento della Punishment 18 Records e dal rinnovato interesse di Rob e Francesco. È dunque un piacere gustare questo prodotto di repertorio, che nonostante gli anni non suona mai stantio o demodé. Otto brani che colpiscono dritti alla gola, ascoltando i quali si capisce bene – oltre Amebix, Prong e Dystopia – da dove abbia attinto buona parte del novello, cosiddetto post core.

Otto rasoiate dai riff affilati e apocalittici, a partire dalla doppietta iniziate formata da “Decompression State” e “Always from Inside”. “The Last Stop Is Mortuary” gode di agghiaccianti rallentamenti doom e vocals paralizzanti, “Lives in Incubator” ha un tocco claustrofobico che gela il sangue rispetto alla complessità di “Every Indetermination Is Complete”, brano introdotto da suggestivi intrecci acustici. “Homo Superior” e “Which Theory” giocano tutto sulla velocità violenta e senza compromessi, mentre la conclusiva “Way of Brutality” è l’epitaffio ad un mondo che ha annientato differenze e complessità. La colonna sonora del disfacimento post industriale odierno.

Alessandro Zoppo