Grave – A Trip to Mustafar

Il viaggio verso Mustafar (pianeta immaginario nato dalla fantasia di George Lucas) è sulla navicella spaziale dei Grave (band reale, pronuncia italiana, come non è successo nulla di grave) che con quattro tappe strumentali ci fanno abbandonare l’atmosfera terrestre.

Nati sulle sponde del Tagliamento e abbeverati alla sacre fonte di Black Sabbath, Kyuss e Colour Haze, Marco, Davide e Demos dimostrano una classe e una padronanza musicale notevole. I pezzi di A Trip to Mustafar si aggirano intorno ai dieci minuti ognuno e si intuisce come sia difficile arrivare a quella distanza senza annoiare.

Prendiamo per esempio The Incredible Duna Man che, pur pagando il tributo a Demon Cleaner dei Kyuss, riesce a smarcarsi di lato e a ispessire il ventaglio sonoro verso altre direzioni; in più l’intro à la Fu Manchu è chiara indicazione che i loro ascolti si nutrono solo del meglio.

Così sono anche gli altri pezzi: alcuni si inclinano verso sonorità Seventies (Space Embryo è un bel ragionamento sul perché i riff dei Black Sabbath siano immortali), altre volte rivelano come la grande mama blues riesca a manifestarsi in qualunque forma (Johnny Greender Story) riuscendo a tenere alta la soglia di attenzione e di soddisfazione dell’ascoltatore.

Merito anche della presenza liquida di Matt ai sintetizzatori che, seppur facendo un lavoro sotterraneo, riesce a dare il suo contributo. I ragazzi ci sanno fare e immagino che il meglio debba ancora venire.

Eugenio Di Giacomantonio