HAINLOOSE – Burden state

Gradito ritorno quello degli Hainloose, a tre anni di distanza dal debutto “Rosula”. La band tedesca incide sempre per la Elektrohasch di Stefan dei Color Haze e non delude le aspettative di chi aveva apprezzato il disco d’esordio. “Burden state” non brilla certo per originalità (non è questa la dote cardine degli Hainloose) ma soddisferà la sete di stoner che attanaglia la gola dei fruitori del genere. I punti di riferimento non cambiano: restano il sound magmatico di matrice Kyuss/Corrosion Of Conformity, il fuzz rock di ispirazione Fu Manchu e una torrida vena southern mischiata a brillanti barlumi psichedelici. Per il resto il songwritnig di Haris (voce, chitarra), Daniel (batteria) e Rico (basso) piace perché più vario e sfaccettato che in passato, dinamico e groovy nelle giuste dosi.L’iniziale “Recipe”, “Disconnected” e “M.O.H.” sono classici brani heavy psych, tosti e quadrati, ideali per correre veloci lungo strade assolate e polverose. È altrove che si respira un’aria diversa, ad esempio nelle due parti in cui è divisa “Broken dams” (ottimo l’inserimento delle percussioni e le divagazioni lisergiche), nella melodia a presa rapida che caratterizza il chorus di “Maryland” o nelle atmosfere notturne che impregnano “Cold water”. “Proud of my doom” e “Barricades and barrels” trasudano blues da ogni nota, mentre “Chernobilly” è una strumentale dal taglio southern che scuote e fa vibrare. Gli Hainloose hanno finalmente messo a frutto le qualità già palesi nel loro debut album. “Burden state” è il classico disco necessario per dar respiro ad un genere come lo stoner rock.

Alessandro Zoppo