HALFWAY TO GONE – Halfway to Gone

E’ proprio vero che il terzo disco è il banco di prova fondamentale per una band. Ne sanno qualcosa gli Halfway To Gone, alfieri di quel sound possente e sudicio definito southern stoner. Insomma, la grande tradizione di Lynyrd Skynyrd, Blackfoot e Raging Slab riletta e filtrata con chitarre asfissianti e ritmiche da cardiopalma. La strada aperta dagli Alabama Thunderpussy e oggi rappresentata al meglio da Dixie Witch, Puny Human e Five Horse Johnson.
C’è da dire che i precedenti lavori dei tre ragazzacci del sud (“High five” e “Second season”) non avevano convinto del tutto. Il nuovo lavoro, dal programmatico titolo omonimo, spazza via ogni dubbio.

Sono il caldo torrido e l’umidità della paludi le atmosfere richiamate alla mente dall’ascolto. Una birra ghiacciata e via, siamo catapultati nel bel mezzo della campagna statunitense. Lou Gorra, basso e voce della band, veste i panni del padrone di casa: lo immaginiamo come un fiero esponente della working class sudista, aspetto rude ma un cuore d’oro. La sua voce è roca, aggressiva e suadente, sa far esaltare e toccare le corde dell’animo allo stesso tempo. I suoi compagni non sono da meno: Dan Gollin svolge il lavoro sporco alla batteria, Lee Stuart si divide tra riff assassini e assoli dinamici.

Le grandi emozioni partono sin dall’iniziale “Turnpike”: un brano che in quanto a carica ed impatto melodico non è secondo a nessuno. “Couldn’t even find a fight” e “Burn em down” sono assalti in pieno stile Motorhead, mentre la matrice prettamente southern viene fuori in frangenti brillanti come la devastante “Slidin’ down” e la morbosa “Good friend”, con tanto di incandescente armonica a bocca.

La strumentale “His name was Leroi (King of Troy)” unisce chitarre lisergiche e ritmiche melmose, lo stesso tocco di psichedelia che trova ampio spazio nella delicata “The other side”. Hanno sensibilità e passione gli Halfway To Gone e lo dimostrano in almeno altri tre momenti: la convincente cover di “Black night” (tributo ai titani Deep Purple), la commovente ballad a base di slide “Out on the road” e le vibrazioni blues jazzy della conclusiva “Mr. Nasty time”.

Immersi in una palude, si riesce a malapena a respirare. Ecco la sensazione che provoca l’ascolto degli Halfway To Gone. Strana e soffocante quanto volete ma dannatamente piacevole!

Alessandro Zoppo