HIELO NEGRO – Purgatorio Bar
C’è un bar, dai muri esterni sporchi e dall’intonaco cadente, con l’ingresso in legno massiccio, in un vicolo nella periferia di Punta Arenas. Il suo nome non compare nella guida Michelin, perché non è famoso né per i suoi cocktail a base di rhum o per la cucina tipica. Né tantomeno è rinomato per la sua posizione, visto che Punta Arenas è una cittadina situata nelle gelide lande della Patagonia, vicino alla zona del Chile. I suoi frequentatori abituali sono uomini e donne che hanno a disposizione tanto tempo per riflettere e cercare di comprendere, seduti su vecchie sedie in legno, con i gomiti poggiati su bisunti tavolacci polverosi. Qualcuno gioca a carte, qualcun’altro fissa in maniera spenta il proprio bicchiere dalla forma dozzinale, prima di spegnere una sete che non potrà mai essere spenta. Il nome di questo posto è Purgatorio Bar, ed ogni sera le assi del palco sono calcate da un gruppo autoctono, che conosce così bene gli avventori e le storie dietro certi volti, da aver pubblicato un disco che porta il nome del locale.Gli Hielo Negro sono in pista dal 1997, ma non hanno mai avuto una grande visibilità; ciò è dovuto al fatto che la loro proposta non è assolutamente originale o innovativa. Questo bisogna sottolinearlo per rispetto e dovere di cronaca, non avrebbe senso inventare qualità che non esistono nel disco. Tuttavia è un gruppo genuino, che ama il rock ed è ottimo per gli appassionati di stoner, doom e rock‘n’roll. È un ottimo lavoro per chi apprezza la scena sudamericana, perché qui troverà pane per i suoi denti, con i testi in lingua spagnola e atmosfere che sono molto vicine ad una band eccezionale come i Los Natas (“Arde la terra, sangre de lobo”), conditi ora da riff molto più doom, ora legati alla tradizione tipica dei Kyuss o dei Clutch (basta far partire “Kaos ahora”, per accorgersene).
Uno degli episodi più interessanti e divertenti è sicuramente “Perro de la noche”, ottima miscela di stoner della Cordigliera e cadenza hardcore, oppure la canzone ultramotorheadiana “Bastardo”. In sintesi un disco che è come il purgatorio: un limbo dove ci sono sì momenti buoni, ma che non riesce ad emergere e rimane sempre, fluttuante e costante, tra l’anonimato della proposta e una certa godibilissima vena creativa. Ma non abbastanza per poter interessare qualcuno oltre il pubblico di nicchia. Peccato.
Gabriele “Sgabrioz” Mureddu