HOUSE OF AQUARIUS – The world through bloodred eyes
La Svezia, si sa, è un paese all’avanguardia, sia per il grado di civiltà, sia per le bambolone che vi abitano di nome Hinga, sia per lo sviluppo economico e politico. Neutrali, biondi e amanti della buona musica, dato che la produzione dei ’90 e del terzo millennio è invasa da gruppi e gruppetti provenienti dalle fredde terre della Scandinavia. Amanti di sonorità rudi e massicce, dal metal allo stoner, non a caso in quest’ultimo settore rappresentano uno stile ed una nuova età dell’oro: Dozer, Generous Maria, Truckfigthers e così via. Nel 2002 spunta in penombra il nome di questo gruppo: House of Aquarius. Quartetto che si professa amante dello stoner, del doom abrasivo e del blues psichedelico, sonorità inserite tutte nel disco d’esordio.Stupisce l’amore per tracce di una certa durata, e la capacità di mutare pelle durante i minuti della singola traccia. Ciò può essere letto in chiave positiva, come un calderone in cui confluiscono le influenze più disparate, passando da un attacco massiccio di coronarie ad un trip lisergico, dalla foga galvanizzante dei riff stoner alla monumentale e nichilista melodia doom. O in chiave negativa, come una mancanza di decisione nella strada da seguire, evitando di focalizzarsi su un aspetto dei ’70 da sviluppare. Per chi scrive è tanto di guadagnato se registri nove brani, cercando di mischiare le carte in tavola, poi fate vobis.
“Lord of Vernim” inizia in maniera infuocata, e nei primi minuti ricorda la brama di rock grezzo degli Spiritual Beggars, nonostante a metà dei 7 minuti e 31 secondi il panorama cambi paradossalmente in un atmosfera soft a metà tra il psych dei Los Natas più hendrixiani, la voce degli Alice In Chains di “Dirt” e la durezza dei Pentagram. “Rock n’roll Grandma and the KKK” invece è un pezzo sì rock’n’roll, ma sempre staccato dai canoni classici dei Led Zeppelin, perché richiama il doom dei Sabbath ed il modus agendi degli Alabama Thunderpussy. “Fear no evil” è una fusione tra “Little Wing” di Hendrix, i Sabbath di “Planet Caravan”, il ritornello dei Monster Magnet di “Superjudge”, con un basso che rende un mirabolante omaggio a Geezer Butler, un finale feroce ed un gran tiro. “Azteroid Zombiez” è probabilmente il pezzo più fottutamente veloce, tirato e stoner dell’intero album, molto accattivante e groovy. “Unholy” è un doom lavico e luciferino, dall’atmosfera epica, quasi un clima religioso di ricerca della redenzione, dovuto alle doti del cantante capace di cambiare registro senza sfigurare; nel finale assisterete ad un esplosione che ricorda Kyuss e Goatsnake. “Apes and blood” è la compattezza del doom, che produce un’aria viziata, maligna e satura, con voce trascinata; “Cosmic weed” è uno dei pezzi più belli e completi del full lenght: i fari puntano su un basso protagonista, mentre un muro di fuzz cesella le contro voci stoner metal, con un effetto che ricorda le urla strazianti di qualche animale impazzito. Le vocals sono carismatiche e hanno un timbro vibrante e potente, simile a tratti a quello di Cornell in “Badmotorfinger”. “Nuclear Child” è blues, voce impostata ed impastata… “Don’t believe the world, they say”.
Il disco si chiude con la lunghissima “Out of the hand of your god”, grande ritorno della psichedelia dei primi Pink Floyd, dello space rock e dei riff in stile Hendrix, sebbene ci sia dentro anche dello sludge doom. L’urlo finale è degno del Phil Anselmo gasato e brutale.
Gabriele “Sgabrioz” Mureddu