JARBOE – MahaKali

Inserire Jarboe in uno stile definito non è possibile, dal momento che ha indossato ogni forma stilistica/maschera (con l’inizio di “13 Masks”) in funzione di quella che era la crescita nel suo percorso esistenziale/spirituale. In modo analogo a quello di altri pochi artisti, dall’indole ed etica fortemente indipendente, che hanno costruito la propria carriera all’insegna di continue metamorfosi e passaggi tra i generi che più si prestavano alla loro visione, o espressione ideale del momento. La scelta di chiamare due ospiti come Attila Csihar e Phil Anselmo la dice lunga sulla natura di “MahaKali”, immerso in oscure dottrine tantriche, dove vengono a confluire e sono rivisitati dalla personalità di Jarboe i suoni estremi che hanno ridisegnato e hanno portato verso lidi poco esplorati i canoni di “pesantezza”, come doom, noise, drone.Retto da musicisti conoscitori della materia da trattare, al centro del quale si trova Jarboe, il disco si apre con una sbilenca litania solo per voce e percussioni nel suo stile, in cui imperfezioni come le
stonature di voce e l’andare fuori tempo, in alcuni punti, non sono altro che segni di autenticità espressiva. Lo stessa tema continua brevemente in forma acustica su “And the Sky Which Once Was Filled with Light…”, ma dopo questo i toni si addensano e il tribalismo che lo sostiene forma le basi per un pezzo dalle forti connotazioni noise, “The House of Void”, in cui le distorsioni e i feedback saturano gli spazi mentre Jarboe è trasportata dal flusso, finendo in un cul-de-sac dove ad attenderla è la follia: al suo compimento, si rimane assolutamente ipnotizzati e tramortiti.
La successiva “Transmogrification”, introdotta morbosamente da una Jarboe-bambina alle prese con inconfessati segreti e da dolorosissime armonizzazioni che potrebbero rievocare le esalazioni dell’arcaico black metal norvegese (affogato qui nel noise), ha una spaventosa, pesantissima cadenza post-doom, memore dell’indelebile “Under the Surface” dei Neurosis di “Times of Grace” (non dimentichiamo lo splendido parto di entrambi in “Neurosis & Jarboe”): essa si intensifica sempre di più, fino alla conclusione dove viene raccolto tutto ciò che il suono, poco a poco, ha seminato e sviluppato nel corso della canzone. Ancora una volta Jarboe giunge alla liberazione attraverso la deriva nel delirio e il sacrificio personale (quest’ultimo era ciò che caratterizzava “Sacrificial Cake”), squarciando il velo e facendo tabula rasa di tutto ciò che è “Illusione Cosmica”.
L’interludio di “From Afar, Upon the Back of a Tiger” galoppa fieramente nel campo di battaglia per introdurre il primo guest, Attila Csihar – profeta della Morte Rossa (in Mayhem e sunn O))), tra i principali acts): sferzate di distorsione, le declamazioni di Csihar e l’organetto nello sfondo costituiscono il rituale di “The Soul Continues”, in cui anche l’ombra di Jarboe rimbalza da un’Eone all’altro nella “Stanza del Fato”.
Nel mezzo di questa song e quella del prossimo ospite a nome Phil Anselmo, si trova uno spaventoso abisso drone intitolato “A Sea of Blood and Hollow Screaming”, dove l’eco è quella dei sunn O))) i quali, probabilmente per questioni di analogia concettuale, hanno fatto propri gli archi che si agitano impazziti verso la fine del pezzo, ed hanno utilizzato una simile intuizione su “Aghartha” di “Monoliths and Dimensions”. La sperimentazione che Jarboe ha messo in luce provoca un’effetto che fa gelare le vene. La sua esperienza in composizioni dallo stampo atmosferico la portarono, non a caso, a scrivere la soundtrack per l’horror game “The Path”. “Overthrown” è un piccolo squarcio di miseria e desolazione umana, con Phil Anselmo a prestare le sue corde vocali ridotte all’osso dopo anni di abusi; nonostante ciò, il tempo gli ha dato una buonissima stagionatura, che rende la sua prova davvero sincera, autentica: è quindi naturale che il pezzo abbia un’influsso squisitamente del Sud, dove Jarboe stessa è di New Orleans. Le restanti tracce ruotano ancora sulle personalità multiple di Jarboe, con “Ascend” ripresa in forma elettrica dalla bonus track “We Are the Prophecy” di “13 Masks”, e “Overthrown” ricostituita con una pseudo sezione ritmica e bizarre vocals (Jarboe goliardica). Chiudono il disco due esperimenti ambient come “Kali Lamentation III” e “Violence”: il primo è un’oscurissima e poco rassicurante bolgia di rumori “umani” provenienti da un’epoca molto distante e turbolenta; il secondo è rumori acuti simili a grida che saturano i cieli.
Tra i fattori che fanno amare questo lavoro ci sono sicuramente i suoni, la sezione ritmica in particolare: l’amalgama è intenso, sulfureo e viscerale (c’è da chiedersi quanta erba magica si sia appoggiata Jarboe e il gruppo per la formazione del disco). Il temporaneo cambiamento di pelle avvenuto in questa tappa, ispirato da “MahaKali”, o Grande Kali dell’Induismo (potenza divina della pura creazione, simboleggiata dal fuoco, e che presuppone la distruzione come condizione necessaria) ricorda quello della “serpenta” Diamanda Galas. Jarboe è quanto mai vicina a lei in questo capitolo, dove le trasformazioni vocali si prestano a ritrarre un subconscio che si dimena incessantemente, esiliato nelle zone remote dell’animo.

…Abbandonata alla disperazione, è una Medea che si circonda col fuoco della collera divina e trova in esso l’unica salvazione restante dalla fatalità delle esperienze umane.

Paolo “Neon Born”