JEX THOTH – Blood Moon Rise
Si apre all’insegna di un notturno rituale il secondo album di Jex Thoth, band del Wisconsin capitanata dalla tenebrosa Jessica Bowen. Uscito nel 2013 per la I Hate Records, “Blood Moon Rise” si pone con il precedente omonimo (2008) in rapporto sicuramente evolutivo, portando avanti ed affinando le acide sonorità di respiro Settantiano che, fin dagli esordi, hanno caratterizzato il gruppo, facendone un caposaldo del dark rock psichedelico contemporaneo. Una distesa di suoni ribassati e distorti funge da tappeto sonoro alla splendida apertura vocale della Bowen fin dalla prima traccia, “To Bury”, che prefigura già la dimensione sacrale dell’intero disco: un’esperienza da vivere, più che un insieme di composizioni da ascoltare distrattamente.
L’attacco di “The Places You Walk” non permette vie di fuga: è assolutamente indispensabile chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare sull’altare di questo rituale pagano, all’interno di un cerchio Wicca allestito nel bel mezzo di un bosco sacro fuori dal tempo e dalla storia. Trascorre da una traccia all’altra e si intensifica progressivamente la sensazione di piacevole smarrimento, al punto che la realtà sembra davvero sparire, inghiottita dal languido impasto sonoro di chitarre effettate e soffici linee vocali. Tempi lentissimi riportano il fortunato ascoltatore ai tempi di Woodstock, e la maestria della frontwoman non può che evocare le spettacolari abilità canore di Grace Slick.
Se con “Into a Sleep” si entra – come vuole il titolo – nella dimensione di un sonno profondissimo e benefico, ricco di sogni allegorici, “Keep Your Weeds” rappresenta l’accesso diretto ad un’atmosfera surreale e da brividi. Il semplice assetto strumentale fa da sottofondo ad un cantato languido che riesce a regalare sensazioni da pelle d’oca. E se ascoltando “Ehjä” si scende nella profondità degli abissi e ci si perde in un caleidoscopio di suoni al sapore di fuzz, intercalati da soli dalle note lunghissime, trattenute fino allo stremo, è proprio il finale a fungere da sommo apice di questa intensissima esperienza auditiva. Superata infatti la sabbathiana “The Four of Us Are Dying” (contraddista da suoni lugubri e lisergici, degni della migliore produzione doom), l’intro quasi folk di “Psyar” avvolge sinesteticamente gli accordi di chitarra acustica con barlumi di luce diafana, pronta ad attraversare cautamente la morbida voce di Jessica, che qui sembra proprio dare filo da torcere non solo ai suoi antesignani Coven, ma anche agli odierni Purson. Per non parlare dello splendido solo destinato a portare a termine languidamente l’intero album, un vero e proprio orgasmo sonoro.
Insomma, lavoro eccezionale quello realizzato da Jessica Bowen che, componendo e arrangiando ogni singolo pezzo dell’album, ha dimostrato ancora una volta il suo innegabile talento. I Jex Thoth si pongono così davvero quale band di spicco nel panorama del rock psichedelico, e non solo di quello che viene comunemente – e forse impropriamente – etichettato come occult rock “al femminile”. Le distinzioni di genere, alle volte, lasciano il tempo che trovano.
Valeria Eufemia