KASH – Open
Una band italiana (di Torino per la precisione) che incide per la Sick Room Records di Chicago. Sembra ripetersi il caso di gruppi come Uzeda, Ufomammut o Three Second Kiss, osannati all’estero ma praticamente sconosciuti in patria, se non da appassionati e addetti ai lavori. I Kash sono ormai in giro da tempo, dal bellissimo disco omonimo uscito ormai sei anni fa. Nel frattempo c’è stato “Beauty is everywhere” (prodotto niente meno che da Steve Albini) e ora questo “Open”, lavoro che può rappresentare un autentico punto di svolta per i quattro (Stefano, Paride, Luigi e Flavio).L’appoggio della Sick Room è ovviamente fondamentale, così come i contatti che i ragazzi hanno intanto imbastito (hanno avuto l’onore di suonare in compagnia degli Shellac e in questo caso hanno collaborato con Steve Sostak e Mitch Cheney, provenienti da Sweep The Leg Johnny, ZZZZ e Rumah Sakit). Questo album di undici brani (con un booklet molto spassoso!) persevera sull’energia sonora possente e toccante del passato, tra costruzioni armoniche singhiozzanti, melodie contorte e testi surreali. Composizione esemplari sono “Toys”, “Too bad” o “Radio cherokee”: noise, no wave e post rock si muovono in modo irregolare e spigoloso, nessuna linea retta, il sound è del tutto scomposto. Sulla frammentazione della base ritmica poggiano l’isteria vocale di Stefano e un complesso di (r)umori chitarristici e non (ronzii, laceranti feedback, inserti di tromba, sax e armonica). Il risultato è quanto mai affascinante.
In “37 telephones on fire” e “Eyes” emergono invece melodie contorte e dissonanti ma dall’innegabile appeal. Come se Captain Beefheart fosse catapultato avanti di trent’anni e si trovasse a condividere lo stesso palco di Shellac e Sonic Youth. Anche perché la psichedelia sembra essere un campo di forte interesse per i Kash. Non a caso “Porno space”, “Cactus shine” e “Cheese cake” rappresentano tre incredibili variazioni sul tema del rock psichedelico: acerba e scostante la prima, acida, desertica e sognante la seconda, suadente la terza.
Insomma, è classe pura quella di questi simpatici ragazzi. C’è solo da augurarsi che i consensi ricevuti negli Stati Uniti si tramutino in onore italiano.
Capiterà il giorno in cui, inevitabilmente, sarò costretto a nutrirmi di carni utopiche…
Alessandro Zoppo