KHANATE – Capture & Release
Cosa succede nella testa di un pazzo con visioni ossessive chiuso in una stanza? Probabilmente cose simili a quelle che succedono in questo “Capture and Release”. Due traccie, cronistoria di un’infinita notte di incubi, i Khanate tornano a sviscerare l’oscurità della psiche, e lo fanno rumorosamente.La prima traccia, Capture, parte con la voce di Alan Dubin accompagnata da un riff oscuro a cui si aggiungono poi lente rullate sui tom e frequenze bassissime. Diciotto minuti di ricerca nel buio, agonia del desiderio che non può avere sodisfazione, voci effettate in sottofondo e improvvisi silenzi che ricordano l’angoscia di un incubo ad occhi sbarrati. Le parole sembrano una preghiera senza destinatario, “come closer, one step closer to somewhere”, volontà cieca che si realizza nel finale in cui basso e chitarra smettono di rincorrersi per un’opprimente accordo di insoddisfazione.
Ed è il tempo di Release, lo sfogo ha qui la sua descrizione. Prima una chitarra incredula accenna a pochi suoni per poi esplodere nell’impotente visione del proprio agire perverso. Le corde suonano basse, lente e presenti in stile Sunn o))). Rimane l’orrore per il proprio desiderio che continua anche dopo aver aperto e dissanguato la propria vittima. Il basso scuote la terra e sembra evocare dal basso una congrega delle proprie peggiori ossessioni, radunate per poter assistere al rilascio del proprio volere negativo. Non importa chi guarda, non importa cosa si continua a fare, Dubin continua ad urlare “It’s not enough” e lo ripeterà in un rituale che si snoda per metà pezzo, seguito dalla solitudine di chi osserva ciò che resta dell’omicidio appena compiuto descritta con calme e dissociate note. Ma dura poco la pace, è ora di andare, e il drone prende piede nel finale per un’uscita con occhi vuoti d’insofferenza in cui ogni strumento cerca la sua strada per poi ritrovarsi in colpi micidiali di nuovo desiderio d’odio.
Rimanere soli con questo disco è pericoloso, sopratutto per chi è in grado di sopportarlo. Come ogni lavoro dei Khanate siamo di fronte a una raccolta dei più negativi moti dell’anima, resi perfettamente dalla loro musica sempre più cattiva e ossessiva. Disco consigliatissimo, per chi ne ha il coraggio.
Federico Cerchiari