KIMI KÄRKI – The Bone of My Bones

Personaggio eclettico Kimi Kärki, attivo sulla scena da quasi vent’anni. Si fa conoscere dapprima col nome di Peter Vicar come chitarrista della cult doom band Reverend Bizarre; successivamente crea gli Orne, nati come side project e poi sviluppatisi come vero ensemble con cui potersi confrontare col progressive rock, grande influenza di Kimi. Dà poi vita ad un’altra emanazione doom con i Lord Vicar e prende parte ad altri progetti diversi, come E-Musikgruppe Lux Ohr, formazione dedita a sonorità electro ambient. Di recente trova infine il tempo di unirsi al supergruppo Uhrijuhla, composto da personalità legate alla scena rock e metal finnica: in questo caso la proposta è psych prog con venature antiche e moderne, dal classico 70’s sound al trip hop cantato in finlandese…”The Bone of My Bones” è l’esordio solista di Kimi Kärki, un viaggio interiore ed intimista nel quale l’autore si misura con il suo alter ego più riflessivo e minimalista, dando vita ad un itinerario fatto di pensieri e parole legate al Kimi uomo ancorchè compositore. La musica attraversa momenti che sanno di malinconia e attimi che trasportano l’io in luoghi reconditi. Kärki si propone nella doppia veste di chitarrista e cantore, in un contesto acustico salvo un isolato exscursus elettrico nella conclusiva “Taxiarch”. Il disco è composto da sei tracce che racchiudono diverse influenze: dal progressive rock scuola Canterbury allo psych folk stile Spirogyra, The Incredible String Band, Tim Bucley e Steeleye Span, fino al neo-psych à la Paul Roland e Julian Cope. E in qualche frangente vengono in mente anche gli Anathema di “Eternity”.
“The Bone of My Bones” è un album di grande intensità emotiva. Un applauso quindi a Kimi che da alfiere del doom ha saputo egregiamente adattarsi a cantastorie folk rock, veste già ammirata dai fan italiani in occasione di un set acustico in una serata che vedeva i Pagan Altar ed altre realtà doom esibirsi in quel di Parma. Ultime note: tra gli ospiti che partecipano all’album, Mat McNerney degli Hexvessel, Anna-Elena Pääkkölä e Pirita Känkänen. Infine, la cover art riprende “L’albero della remissione”, dipinto di Edward Coley Burne-Jones del 1882.

Antonio Fazio