KING REMEDY – Self Destruction
Forse uno scioglimento a distanza di due mesi dall’uscita di un full-lenght d’esordio è una novità assoluta, eppure così è stato. Dal sito ufficiale dei King Remedy si legge un’ultima news che recita: «22.4.2010: Well, it seems that this band is over. The other one walked away without saying a word, I don’t know what it is about. Fuck this shit». I King Remedy sono un power-duo, proveniente dalla cittadina di Pohja (Finlandia), ed entrambi i componenti hanno superato i trent’anni, ma da quello che si sente sul disco la voglia di scatenarsi c’è ancora. O almeno così sembrava, visto che tutto il lavoro era stato interamente scritto, suonato, registrato, prodotto e pubblicato nel segno dell’etica DIY. Tutto farina del loro sacco, considerando che essendo privi di un batterista si erano anche occupati di costruire un drumkit in due pezzi ed azionabile a pedale. Ricordate Lino Banfi in Grandi Magazzini? Una roba del genere, ma con molti più amplificatori e riff. Il titolo ‘Self Destruction’ sconfessa il motto “Nemo propheta in patria sua”.A dir la verità non è che abbiamo perso un gran gruppo, almeno sotto il profilo dell’originalità a volta si faceva fatica a distinguere un suono statico da uno stitico. Sotto il profilo dell’impegno e del divertimento invece, il duo si difendeva egregiamente. Lo stile è un ultra heavy blues revivalistico, dal ritornello orecchiabile e lo schema sonoro molto semplice, sotto il profilo della sezione ritmica non ci si schioda dal 4/4. Acid blues sporco e abrasivo, americano fino al midollo, come se John Lee Hooker avesse suonato assieme ai Clutch ed i Black Sabbath meno luciferini.
Il disco scorre via piacevolmente, non occorre nessuno sforzo per capirlo perché è assolutamente prevedibile quanto genuino. Termine quest’ultimo che parrebbe cozzare con quanto detto in precedenza. Lo stile adottato è tale, genuino appunto, perché è primordiale, lineare e figlio della tradizione hard rock dei 70. Non è genuino nel senso di tradizionale o personale, ma è così perché c’è lo spirito e lo stile caciarone. Nulla di eccezionale, ma quantomeno la sufficienza per la simpatia e l’allegria se la meritano. Non che serva a molto, a questo punto.
Gabriele “Sgabrioz” Mureddu