KYLESA – Static Tensions
Un disco come questo non si tira fuori dal cilindro tutti i giorni. I Kylesa hanno lavorato duro per creare questa propria identità, e i risultati sono palesi, complice un songwriting mai fiacco ed un orientamento preponderante verso la componente psichedelica, che va a fondersi con il background hardcore della band di Savannah.La scelta della doppia batteria: scelta coraggiosa ed imprevista, che dona quella spinta globale in più, senza cadere nella trappola dell’abuso.
“Unknown Awareness” è piena di pathos, un pezzo così ben riuscito da portare all’assuefazione, grazie al suo incedere solenne e fiero. La percussiva “Running Red” è una vera goduria, incluso quel lieve plagio sabbathiano nel ritornello (ricorda molto il riff di “Iron Man”). Oltre all’apparato ritmico e chitarristico, entrambi di assoluto spessore, rivestono un ruolo fondamentale nell’economia dei brani le voci di Phillip Cope e Laura Pleasants, entrambe piuttosto monocorde se prese e isolate, ma piuttosto efficaci nel contesto sonoro dei Kylesa; viscerali e primitive. “Nature’s Predator” è alquanto emblematica in questo senso, e che dire di “Scapegoat”, senza ombra di dubbio la più diretta (perfetta come opener). Fantastiche le chitarre molleggiate di “Only One” e le batterie frenetiche di “Said and Done”.
Il disco mantiene inalterate due qualità principali all’avanzare delle lancette: tensione e vitalità. Se la musica fosse una droga, questo disco risulterebbe estremamente dannoso.
Insieme ai cugini Baroness, tra le migliori band degli ultimi anni.
Davide Straccione