MAEL MORDHA – Gealtacht Mael Mordha
Avete mai sentito parlare di Gaelic Doom Metal? Allora aprite bene le orecchie.Se amate la maestosità dei Candlemass, la magia dei Primordial nonché dei Bathory dell’età di mezzo e l’approccio melodico dei faroesi Týr, allora questa band fa al caso vostro.
Provengono dalla remota Irlanda, della quale si fanno fieri narratori raccontando le gesta di Mael Mordha – re di Leinster – cesellando un concept album che segue le orme del predecessore “Cluain Tarbh”, rappresentandone la naturale evoluzione artistica.
Doom metal epico dalle tinte folk dunque, con chitarre granitiche e possenti in netto contrasto con il sapore ancestrale evocato dal pianoforte e dal flauto, elementi che rendono il lavoro ancor più interessante.
L’opener “Atlas of sorrow” è epica ed austera, un lungo blocco di oltre dieci minuti in cui sono concentrate tutte le caratteristiche della band. Troviamo la dolcezza del flauto e del piano di cui sopra, la violenza primitiva delle chitarre, una sezione ritmica ora lenta e quadrata, ora più veloce ed aggressiva, sorretta da un cantato evocativo e melanconico ed infine da una chitarra acustica capace di iniettare maggiore folklore nel brano.
Ma le ritmiche si sciolgono nel trittico composto dalle successive “Godless comune of Sodom”, “A window of madness” e soprattutto nella furiosa “Curse of the bard”, evitando così di cadere nell’oscura trappola della monotonia.
Tuttavia gli irlandesi sanno essere ancor più sublimi al rallentare dei bpm, potendo così sfruttare appieno la propria indole doom, come dimostrato dagli ultimi tre brani dell’album. E poco importa se il flauto di “The struggle eternal” risulta essere un po’ stonato, perchè la bellezza del brano lascia passare inosservate le piccole sbavature. In alcuni punti la voce di Bob arriva a sporcarsi alla maniera degli Anathema di “Pentecost III”, e questa è una gran cosa. Ma il bello deve ancora arrivare. La stupenda titletrack ci regala dei momenti austeri e solenni, catapuldandoci nel bel mezzo della battaglia al fianco di Mael Mordha in persona. Chiude il cerchio “Minions of Manannan” con una apertura degna dei migliori My Dying Bride, ma uno sviluppo sempre in linea con quanto fatto finora dalla band irlandese, con tanto di voce che torna letteralmente a ruggire sul finale, per poi lasciare spazio al sinistro rumore delle onde. Maestoso!
Davide Straccione