MESAS – Spasmi che sanno di me

Non è poi così male il male, vero Mesas? Domanda ricorrente in “Spasmi che sanno di me”, un disco (il terzo del gruppo milanese, dopo gli ottimi “Spaghetti stoner” e “Il turpe”) imbevuto di pura sensualità. Odori di sesso e lezioni di seduzione che esplodono fragorosi nelle dodici tracce che compongono l’album. Un lavoro che per le sue potenzialità può consentire ai Mesas il grande salto nell’olimpo del rock italiano.Produzione impeccabile, masterizzazione effettuata negli studi di Abbey Road da Sean Magee, un pugno di canzoni scritte ed eseguite con classe, grinta, intelligenza, passione. Tutto è messo a fuoco: la voce isterica e voluttuosa di Massimiliano, le chitarre robuste di Lorenzo e Samuel, le ritmiche incisive di Stefano – basso – e Yureck – batteria -. L’impasto sonoro è dei migliori: stoner rock sì aggressivo ma dannatamente intrigante, ‘catchy’ nelle melodie e con ampie concessioni ad un sound più spigoloso, che richiama Sux! e Six Minute War Madness.
Con un buon lancio pubblicitario un brano splendido come “Sdegno” potrebbe essere tra i singoli più trasmessi della stagione. Ma anche le iniziali “Noia” e “Uh!” non sono da meno, pezzi tosti ma aperti ad ogni soluzione melodica. Tanto che quando arriva “Intermezzo III” ci si meraviglia dinanzi ad una ballata malinconica impreziosita da un dolce violoncello. “Vorrei essere (in) lei” è un altro bolide lussurioso ed esuberante, stoner rock come hanno insegnato i seminali 7Zuma7. Sonorità riprese con piglio frenetico anche in “Virus”. “La mia regina”, “Sterile” e “No, grazie” percorrono con forza ed ingegno i sentieri ‘robotici’ ed intricati segnati sulle cartine del rock internazionale dai Queens Of The Stone Age. “Smanio” è un divertente intermezzo ‘stoner swing’, mentre “Lirica” chiude il cerchio con la sua languida armonia, non prima di passare il testimone alla conclusione ironica di “L’aviatore”. Speriamo voli sempre più in alto (e continui a cacarci in testa…) se i risultati sono questi.

Alessandro Zoppo