OM – God Is Good

Ok, forse non hanno così tanti fan qui in mezzo, comunque “God Is Good” è un disco clamoroso. Non sbaglia qualcuno quando lo definisce il miglior lavoro nella produzione degli Om, non è una sparata o un’iperbole ma una constatazione. Si pensava che il cambio della guardia, in un duo così assodato e collaudato, avrebbe potuto solo rappresentare l’epifania dell’ego cisnerosiano, che probabilmente sarà ancor più invigorito dalle ottime premesse del progetto Shrinebuilder. Ma come diceva qualcun altro, non è stata preso l’ultimo cialtrone disponibile, nemmeno una scimmia o un manichino da crash test. Il sostituto ha delle referenze che sono una garanzia e quella garanzia si chiama Grails, band fenomenale e iperproduttiva (l’anno scorso ha piazzato ben due dischi, differenti ed interessanti entrambi, anche se “Take Refuge” risulta più appassionante di “Doomsday’s Holiday”).Quattro brani, in uno stile che non solo riparte da quanto fatto vedere in “Pilgrimage” ma che ne colma le lacune, mette a fuoco l’Om-pensiero e ne palesa la voglia di sperimentazione e di contaminazione. Come un’ape vola di fiore in fiore, attraversa campi e città, scegliendo il nettare da punti distanti tra loro, così gli Om decidono di sdoganare il loro vecchio stile, che nell’ultimo lavoro aveva mostrato di tendere in alcuni punti alla ripetitività, arricchendolo di nuovi elementi.
“Cremation Gath” è l’esempio più eclatante: erano anni che non sentivo la verve della psichedelia e del kraut al servizio del groove. Dire che sia tutta opera di Al Cisneros sarebbe non solo sbagliato, ma anche ingiusto nei confronti dell’incredibile Emil Amos, uno dei batteristi più equilibrati e magnetici in circolazione, autore di una prova eccellente diretto più ad affascinare ed ipnotizzare che scuotere e colpire in volto. E lo stesso Amos è artefice di questo parziale cambio di rotta, visto che l’esperienza dei Grails – soprattutto la loro ricerca di sonorità etnica e mediterranee, che profumano di sandalo e di incenso – si sente ed è anche evidente. Un altro elemento da non sottovalutare è la scelta di abbandonarsi all’uso di diversi strumenti, dal sitar al bouzuki, dal tambura alla scelta di inserire flauti e altri piccoli camei di gran classe. Non a caso questo lavoro è in linea con quest’estetica metafisica e transcendente, spirituale e che ha radici plurisecolari nella storia dell’uomo – non solo nell’occidente cristiano, come appariva più in “Pilgrimage”; qui si rimanda soprattutto alla meditazione e alla catarsi del vicino Oriente – e della tensione verso l’infinito e la presa di coscienza del proprio essere, come pan cosmico ed immateriale.
L’altro tasselo fondamentale è la produzione, garantita al limone dal dottor Steve Albini: suoni saturi, corposi e ammalianti, allo stesso tempo suonano figli della kosmische music e del terzo millennio. L’anima prog e krauta di “Meditation” è la sposa perfetta dell’open track “Thebes” (che richiama la valle dei Re egiziana, il fascino misterico e proibito per la cultura della morte e della vita e di come si possa sconfiggere l’eternità), moloch di venti minuti, dove il mantra di Amos accompagna le litanie di Cisneros, elaborando un tappeto di suoni che va ben oltre il binomio basso-batteria. In sostanza “God Is Good” è uno dei migliori lavori nel settore, un nuovo modo di rivisitare la musica in un periodo in cui tutto è (praticamente) già stato detto ed i buoni gruppi si riconoscono dalla loro capacità di riadattare il vecchio con la scissione e la rielaborazione degli elementi vecchi in forme nuove ed innovative. Tra migliaia di gruppi che suonano come i Pink Floyd (nel senso di essere fac-similati e devoti ammanuensi del loro sound), trovarsi dinanzi ad uno che riesce a distanziarsi da loro con carattere ma facendoli immediatamente apparire con l’ascolto, non è roba da poco.

Gabriele “Sgabrioz” Mureddu