PALM DESERT – Rotten Village Sessions

Verrebbe da esclamare: Death Valley! Ma contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare dopo un primo ascolto ed uno sguardo rapido al packaging, bisogna spostarsi sino alla città di Wrocław (Breslavia) per riuscire ad individuare il fortino dei polacchi Palm Desert. La band si affaccia sulla scena musicale nel 2009 con “Down of the Burning Sun” e “The Highest Fuel Level”, due album che scoprivano un sound fedele al puro e classico stoner rock, consolidato ulteriormente in “Falls of the Wastelands” del 2010. Sotto l’ala protettiva della BSFD Records, quest’ultima impresa denota qualche evoluzione a livello sonoro e compositivo, lasciando trasparire uno studio maggiormente accurato e orientato verso la ricerca di strutture più raffinate.”Rotten Village Sessions” ha tutta l’aria d’essere un album concettuale, una sorta di trip astrale dove il tramonto è principio di una storia che si conclude alle prime luci dell’alba. Accende la miccia “Down the Odyssey”: il sole è ancora alto, le ruote fumano e la corsa del sole verso il tramonto è già iniziata. Col vento tra i capelli, “Till the Sun Goes Down” vola decisa verso il crepuscolo, apprestandosi a recitare l’ultimo vespro. La matrice etnico tribale di “Ghulassa Saloon”, vero e proprio atto propiziatorio votato al dio Mani, accompagna l’ascesa del mitologico nocchiero lunare aprendo ad una nuova fase astrale. La corsa rallenta, il ritmo diventa cadenzato come a sottolineare lo sforzo necessariamente imposto da una salita. Con “Damn Good” (una delle tracce migliori) e “Shades in Black” si riacquista una certa fluidità sonora. La notte incede perfetta, le sfumature di nero si avvicendano dipingendo scenari diversi, fino a quando “Orbinten” (altro breve interludio) non presagisce un nuovo cambiamento. Le ‘ombre acide’ giganteggiano aggrappate al mondo in attesa del “White Wolf”, inesorabile strappo astrale di melodie morbide suggellate da un finale mistico acustico che chiude accompagnando verso una nuova alba.
“Rotten Village Sessions” è un disco che dal punto di vista intellettuale merita attenzione, anche se rimane imbrigliato a livello compositivo sotto l’incantesimo delle icone dello stoner mondiale. Old school!

Enrico Caselli