PATER NEMBROT – Sequoia Seeds

Dopo aver tessuto le lodi dell’eccellente “Mandria” del 2009, ci sembra giusto fare un piccolo passo indietro per parlare del suo successore “Sequoia Seeds”, l’album che ha segnato un punto di svolta nel cammino musicale dei Pater Nembrot. Con queste seconde registrazioni i romagnoli accantonano la lingua madre per dedicarsi al classico inglese, con risultati che permangono di alto livello. La parziale ‘mutazione’ si riflette anche nei contenuti musicali, dato che sale in cattedra una sorprendente attitudine heavy psych che furoreggia lungo tutti i solchi, a discapito delle influenze prog che permeavano brillantemente lo stoner rock delle origini. Ne scaturisce uno degli organismi più compiuti in tal senso a livello tricolore, e che fa segnare un’altra importante uscita all’interno del nostro panorama.Il lento, perentorio brano d’apertura “The Weaner” sembra mettere d’accordo i Nebula più ‘pesanti’ e i mai troppo glorificati Comets on Fire, e soprattutto una grande traccia come la seguente “H.A.A.R.P.” si rivela un puro saggio di solidità psych ’70 lontana da forzati revivalismi. Le varie “Supercell”, “Three Georges Damn'” e “The River” virano con decisa personalità verso i lidi dello stoner a stelle e striscie intinto di acido e fantasioso rock’n’roll, tanto da far tornare alla mente gli anni gloriosi di Core e Atomic Bitchwax.
Dopo l’approccio più tradizionale di “Sequoia” (piuttosto ispirata da Neil Young), la band di Leonardi e Casoni riesplode col riff di “Once Were Mud”, altro potente brano pregno di suggestioni bluesy. Ispirate e convincenti anche la trasognata “Awakening with Curiosity”, l’energica e scoppiettante “Ratla Kim” e la psichedelia space-desertica di “No Man’s Land”, con tanto di hidden track per chiudere in bellezza.

Roberto Mattei