PENTAGRAM – Show ‘em how
Tornano i padrini del doom, i grandiosi e sempre troppo sottovalutati Pentagram. Una band ormai di culto per tutti gli appassionati delle sonorità rock più oscure e cavernose. Con il nuovo “Show ‘em how” il gruppo di Bobby Liebling ci mostra davvero come fare a mantenere forma, classe, tecnica e feeling nonostante il passare degli anni. Un esempio di concretezza e attitudine che tutti i giovani musicisti di oggi dovrebbero prendere ad esempio.Attutito infatti l’abbandono del partner storico Joe Hasselvander (il quale ha lasciato la partita per motivi familiari), Liebling per il sesto studio album ha allestito una formazione stellare: alla chitarra e al basso troviamo rispettivamente Kelly Carmichael e Adam Heinzmann, entrambi provenienti dagli Internal Void; dietro le pelli invece siede Mike Smail, già all’opera con Penance e Cathedral. Da questo rinnovamento non poteva che uscirne fuori un disco mastodontico, coriaceo e corposo ma in parte diverso rispetto ai recenti “Review your choices” e “Sub basement”. L’amore del singer per la grande tradizione acida e heavy di Blue Cheer, 13th Floor Elevators, Dust, Budgie e Sir Lord Baltimore viene fuori in pieno nella maggior parte degli episodi, caratterizzati da pennellate psichedeliche, costruzioni sonore cariche di groove e riff sì cupi ma decisamente maestosi.
Il collegamento con il passato lo mantengono le due tracce iniziali, “Wheel of fortune” e “Elektra glide”, marchi di fabbrica targati Pentagram impreziositi dalle consuete vocals luciferine di Liebling e da chitarre rocciose come il marmo (senza per questo disdegnare qualche infiltrazione bluesy). La riproposizione di “Starlady” comincia a far muovere le acque verso nuove direzioni: impatto psych e melodia che si appiccica immediatamente al cervello sono i vettori di un sound tanto criptico quanto coinvolgente. “Catwalk” ritorna su lidi claustrofobici e dannatamente ossessivi, heavy doom come sanno fare in pochi, prima della mazzata assestata da “Prayer for an exit before the dead end”, brano che chiude la prima parte del lavoro tra scossoni elettrici, infiltrazioni acustiche e una grande prova vocale di Bobby, evocativo e romantico al tempo stesso.
“Goddess” è un’altra interpretazione da incorniciare. Drammatica, notturna, passionale. Un pezzo che in pochi minuti ci fa vivere emozioni non da poco. “City romance” ha invece un andamento marziale tipicamente doom che riporta ai tempi di “Relentless” e “Day of reckoning”, mentre “If the winds would change” è una sorta di ballad lisergica contrassegnata dai crescendo di chitarra e ritmiche che donano un’aura epica al tutto. Ma è quando arriva la title track che scoppia il putiferio: cinque minuti di puro godimento estatico in pieno stile Pentagram, riff e vocalizzi al massimo della forma ed un finale dilatato che scuoterà l’animo di ogni amante dell’heavy psych. La conclusione è però affidata alla particolare “Last days here”, altra ballata amara imbevuta d’acido, tanto suadente ed onirica da provocare una stordente assuefazione.
Arrivati a questo punto cos’altro aggiungere? “Show ‘em how” è l’ennesima dimostrazione di forza per una band capace di rinnovarsi pur mantenendo saldi i legami con il proprio passato. Un modello di tenacia e personalità sopraffina che dura da ormai 30 anni.
Come si dice in questi casi… Doom on!
Alessandro Zoppo