PHASED – Aeon

Vi è mai capitato che qualcuno vi chiedesse il nome di una band heavy psych svizzera contemporanea? No? Be’, neanche a me. Ora, però, nel quanto mai improbabile caso che dovesse succedere, saprei dare una risposta: i Phased. Questa è una deliberata ammissione di ignoranza, e ancora più avvilente per il fatto che il combo d’oltreconfine calca le scene già dal 2001. Per essere più precisi, la prima incarnazione – battezzata Phased 4°F e vicina a sonorità noise – risale al 1997 e sforna un album al volgere del nuovo millennio. Dopodiché, ridotto sia il nome sia l’organico, i Phased imboccano la via del rock psichedelico tra spazio e deserto, prendendo a esempio da un lato gli Hawkwind e dall’altro i Kyuss. Il cantante e chitarrista Chris Sigdell rimane saldo al posto di guida, nonostante gli svariati cambi di formazione, e negli anni sterza sempre più verso territori pantanosi. Tre album (due usciti per la tedesca Elektrohasch), una compilation, ben cinque anni di iato dagli studi di registrazione, e la band torna con la sua ultima fatica: “Aeon”, mixato da Richard Whittaker (che ha un curriculum mica male) e masterizzato da Greg Chandler (avete presente gli Esoteric?), vede la luce nel novembre 2015 su licenza della Czar of Bullets di Basilea.
“Aeon” è un album cupo nella mente e nel corpo: nella voce quasi apatica e nei riff scabri, nei testi angosciosi e nelle ritmiche messianiche. Ma anche un album in cui non manca una certa vena ironica – “Human kebab on a stake / Fuel the fire burn in hate”, recita del resto “Burning Paradigm”. Sì, insomma, i Phased conoscono i dettami lirici e sonici del genere, ma non giocano a fare i duri della situazione, il che, in un calderone underground che già ne trabocca, va a loro vantaggio. Ma bando alla ciance e veniamo alla musica… ebbene, avete presente la chitarra di un tale Dave Chandler? E ricordate lo Stregone Elettrico degli anni d’oro? Ecco, proiettateli in orbita, e direi che ci siamo: arrivati a “(Return of the) Son of the Sun” viene da immaginarsi gli Hawkwind in pieno bad trip che coverizzano i Black Sabbath al ralenti. Certo, con queste premesse si potrebbe pensare a una perla di rara ispirazione. Nulla voglio togliere alla bontà del prodotto, né alla passione del trio, però non viaggiamo di certo all’altezza dei classici del genere. In altre parole: le canzoni hanno il loro perché, l’ascolto regge dall’inizio alla fine, manca “soltanto” un piglio più originale. Ma se non cercate l’estro a tutti i costi, se non siete stufi dei riff à la Saint Vitus, se gradite un pizzico di space nel vostro doom, i Phased vi daranno delle soddisfazioni.

Davide Trovò