PLANKTON WAT – Drifter’s Temple
Come una carovana berbera ai confini del Sahara si muove “Drifter’s Temple”, progetto in solitaria di Dewey Mahood – già con Eternal Tapestry, heavy psych band da Portland. Plankton Wat porta con sé carichi di preziose partiture melodiche e conosce le strade meno comode per raggiungere oasi ed evitare orde di predoni. Con passo lento e sicuro si muove tra miraggi e antichi riti magici. Il progetto è simile, per alcuni versi, ad un’altra pubblicazione targata Thrill Jockey, i Kandodo di Simon Prince degli Heads, anche se qui emerge un’idea più ragionata di composizione, meno legata all’improvvisazione e ai loop. Suonando chitarre a 6 e 12 corde, lap steel, basso, organo e synth è ovvio che Dewey sia dovuto ricorrere alle sovraincisioni, ma ogni pattern è arricchito con dettagli preziosi e mai banali. Il suo approccio alla musica è una ricerca spirituale. Un viaggio a colloquio con gli dei vicino allo stile degli OM di Al Cisneros. Segue armonie orientaleggianti simili ai Liquid Sound Company più eterei (“Nightfall” e “Hash Smuggler’s Blues”). E non dimentica di andare a trovare il folk psichedelico negli stessi luoghi in cui Ben Chasny ha saputo rinnovargli l’orizzonte (“Klamath at Dusk”, “Empire Mines”, “Dance of Lumeria”). Per orecchie poco inclini alla stratificazione e sedimentazione del mood, l’ascolto potrebbe apparire a tratti autoindulgente, ma gli appassionati di musica sperimentale e accorata troveranno di che gioire. D’altra parte la musica più visionaria ed affascinante passa sempre attraverso l’ostilità dell’ascolto. Ma questo è sempre un bene.
For psycho head on ecstasy!
Eugenio Di Giacomantonio