Pontiak – Innocence

Un urlo primordiale introduce il nuovo album dei fratelli Carney. Un urlo che ricorda l’iguana del primitivismo Stooges. Riff micidiale e voglia di trasgressione, come in “Lack Lustre Rush”, sorta di rimasticamento del concept “TV Eye”. Certi amori non muoiono mai. Così come la passione verso i Fab Four (soprattutto verso lo stile di Lennon) in “Wildfires” e “Darkness is Coming”. Poco male. Se questi sono gli ingredienti della pozione “Innocence”, è piacevole pagare il dazio al già sentito e ingollare d’un fiato il sesto lavoro dei Pontiak. Andrà giù che è una meraviglia.

Tra voglie campestri e pastorali di “Noble Heads” e riff intergalattici extracorporei della title track, assistiamo ad un rinnovamento del songwriting prossimo alle escursioni di Jason Simon dei Dead Meadow. Intimità e lirismo della chitarra acustica più chalet di montagna. Come se dopo aver scritto i più bei riff di heavy psych dell’ultimo decennio si senta la voglia di fermarsi davanti al fuoco, con un cannone in bocca e voglia di decompressione. La maturità dell’introspezione, potremmo ipotizzare. E quando il vissuto di una band si incrocia col vissuto famigliare di tre fratelli (a proposito, ma come ci riescono?) la sovrapposizione tra empatia, corrispondenze ed espressione artistica è perfetta.

Quando poi si ricordano di essere un power trio con ascendenze verso la psichedelia il caos sembra prendere forma coerente. La tripletta “Surrounded by Diamonds”, “Beings of the Rarest”, “Shining” (quest’ultima sembra avere proprio la luccicanza del piccolo Danny Torrance) sbanca in termini space/stoner/hypno. Viene aggiunto un tassello avantgarde di matrice Hawkwind che non va a contrastare i momenti rilassati del lavoro. Stranamente i punti più distanti e agli antipodi sembrano, nell’universo dei Pontiak, trovare legittimazione e spessore artistico. Lode a questi tre barbuti delle Blue Ridge Mountains!

 

Eugenio Di Giacomantonio