PORN (THE MEN OF) – Wine, women and song

I confini tra la genialità e la follia sono davvero labili. Come nel caso dei Porn, prima Men Of, ora rimasti solo con quel nomignolo che fa tanto deviazione mentale. Ma d’altronde è inevitabile pensare a qualcosa di diverso quando si ha a che fare con gente di questo tipo. Tutto nasce dalla mente di Tim Moss (chitarre, voce, effetti), simpatico schizoide newyorkese che per mettere in piedi questo esperimento ha chiamato a raccolta Dale Crover dai Melvnis e Billy Anderson, il quale oltre che produrre stavolta si diletta tra basso, piano e backing vocals.Chi aveva avuto modo di ascoltare i primi lavori del trio (“American style” e “Experiments in feedback”) rimarrà piacevolmente sorpreso. Tre anni di silenzio sono serviti se questi sono i risultati. Della matassa infuocata ma fin troppo omogenea dei due dischi precedenti qui rimane ben poco. Tim Moss ne deve aver presa di droga per un progetto del genere… o se anche fosse la sua sola mente, beh, allora è un dannato genio! Chi ama il doom, lo sludge, la psichedelia, il noise, tutto ciò che di particolare, estremo e ricercato c’è nella musica di oggi, deve ascoltare con molta attenzione “Wine, women and song”. Un impasto sonoro che sin dalla splendida copertina, opera morbosamente ambigua di Frank Kozik, rivela la sua carica oscura e sinistra.
Il pesantissimo riff che dà inizio a “Succulento” è il biglietto da visita. La struttura circolare del brano provoca forti giramenti di testa, soprattutto nei synth space, nei feedback assordanti e nel break lisergico che ne rendono l’ascolto esperienza vorticosa. “Mastodon entree” e “Morning star rising” sintetizzano i tempi ma non certo la violenza sonora, di chiaro stampo Melvins. Mentre “Glory will be mine” ha uno degli incipit più epici e “stoned” che esistono, per poi stemperarsi in una cavalcata metallica e rumorista al limite dell’umana comprensione. Sembra fatta, ormai il cd volte al termine. Altroché… non paghi di quanto fatto, i Porn ci deliziano con i 14 minuti della suite “The five books of the Aeneas”, un sorta di poema cavalleresco dello sludge diviso in cinque parti. La prima (“Descent”) è ossessiva decadenza post atomica, la seconda (“Assembly of the silent”) è una pausa psichedelica di stampo pinkfloydiano, la successiva “Chimaera awakens” è una sfibrante marcia della morte, “What new desire of blood” risolleva gli animi a suon di watts preparandoli alla battaglia finale, “Purging by fire” è l’ultimo momento di solitudine prima che sia finito tutto.
Ma gli scherzi non finiscono certo qui. Per premiarci di tanto sublime “strazio”, i tre ci conducono per mano sino alle porte dell’Inferno. “Last song” ne è la colonna sonora, inno voyeurista che strega con il suo groove luciferino e chiude i conti con una pesantezza a dir poco devastante.
Se le ultime uscite di Melvins, Ufomammut ed Electric Wizard vi hanno fatto sbrodolare, allora dovete far vostro questo dischetto. Qualcuno l’ha definito “paranoid drug metal”. Noi possiamo soltanto aggiungere che si tratta di un lavoro veramente succulento…

Alessandro Zoppo