QUEENS OF THE STONE AGE – Lullabies to paralyze

Sono sicuro che la maggior parte dei fans dei Queens Of The Stone Age storcerà il naso al primo ascolto, soprattutto quelli che hanno conosciuto la band californiana con “Songs For The Deaf”.Sarebbe stato forse troppo facile dar vita ad un “volume due” del sopraccitato capolavoro, spopolando così tra i ragazzini della MTV generation ignari del lavoro svolto da Josh Homme dal 1990 al 1997 coi i Kyuss…ed invece no!
I Queens Of The Stone Age, con questo nuovo “Lullabies To Paralyze”, stupiscono tutti con l’album che non ti aspetti!Sono rimasto particolarmente colpito da questo nuovo lavoro!E’ un disco che viene fuori alla distanza, più lo ascolto e più mi piace…sono davvero pochi gli albums che riescono a sortire un effetto di questo tipo (almeno sul sottoscritto)…li ritengo davvero molto preziosi.
“Lullabies To Paralyze” è un disco particolare, diverso dai predecessori e coraggioso, molto coraggioso.Innanzitutto partiamo col dire che è diviso in due parti.La prima metà (che va da dalla traccia numero uno, “This Lullaby”, alla traccia numero sette, “Little Sister”) è decisamente diretta, “catchy” e costituita da pezzi tirati e molto melodici quali, ad esempio, “Medication” (il pezzo più punk di tutto il disco, una scheggia dalla durata di 114 secondi), la bellissima “Everybody Knows You’re Insane”, “Tangled Up In Plaid” ed “In My Head” (ripescata dalle ultime “Desert Sessions” e qui riproposta in una versione più accelerata e distorta).
Tra questi primi sette brani spicca, su tutti, la traccia numero tre: “Everybody Knows You’re Insane”.Un gioiellino che alterna una calma melodia a parti più spinte ed aggressive, il tutto condito da alcune sperimentazioni vocali di Homme decisamente interessanti ed innovative per l’ex chitarrista dei Kyuss!
La seconda metà si apre con uno degli episodi meglio riusciti a Homme e Co. in questo “Lullabies To Paralyze”, mi riferisco ad “I Never Came”.Dolce, tenera, triste e decisamente fuori dagli schemi per una band come i Queens Of The Stone Age, questo capolavoro si contende assieme alla sopraccitata “Everybody Knows You’re Insane”, la palma come miglior pezzo di questo nuovissimo album della band statunitense.
Da qui in avanti “Lullabies To Paralyze” si trasforma in un album molto oscuro ed affascinante prendendo una piega inaspettata.Il richiamo a “Rated R” è immediato, sia per quanto riguarda i suoni sia per quanto riguarda il massiccio apporto di psichedelia che caratterizza quasi tutti i pezzi a seguire!
Gli oltre sette minuti di “Someone’s In The Wolf” (eccezionali le atmosfere create dal delay della chitarra di Josh), le dilatazioni spazio/temporali di “The Blood Is Love”, la sperimantalissima e sensuale “Skin On Skin”, l’acustica “Long Slow Goodbye” dal sapore un po’ retrò…sono tutti pezzi che vengono assimilati pian piano nel corso degli ascolti.
“Lullabies To Paralyze” non è un disco facile, armatevi di pazienza e cercate di assaporarne tutte le innumerevoli sfumature…con estrema calma…
Tanto difficile quanto coraggioso, esattamente come colui che l’ha partorito.
Questo è sicuramente il primo disco solista di Josh Homme, non ci sono dubbi. Dopo la dipartita di Mark Lanegan (impegnato, ai tempi delle registrazioni, nella promozione del suo “Bubblegum”) e il “licenziamento” di Nick Olivieri, il biondo chitarrista/cantante è rimasto solo ed ha dato vita alla sua prima opera da solista mettendosi parecchio in gioco e facendo, a mio parere, subito centro.Avrebbe potuto creare un altro “Songs For The Deaf” bissando il successo avuto con l’album del 2002 e continuando a rimanere seduto sugli allori per lungo tempo ed invece ha deciso di osare, amalgamando il suo background musicale con alcuni elementi nuovi per dar vita a questo bellissimo nuovo disco targato Queens Of The Stone Age!
Tecnicamente parlando questo album è molto semplice, i suoni non sono ricercatissimi e la maggior parte delle composizioni non ha quegli intrecci tecnico/furiosi di “Songs For The Deaf”, possiede degli arrangiamenti diretti ed è intriso di un’atmosfera dark…oscura e triste, davvero affascinante!
Un lavoro molto accattivante dove le atmosfere vocali create dall’ex Kyuss mi hanno catturato sin dal primissimo istante.Josh Homme sperimenta parecchio con la sua voce riuscendo a dare vita a delle melodie bellissime ed inusuali visti i precedenti lavori dei Queens Of The Stone Age.Le linee vocali di “Everybody Knows You’re Insane” e di “In My Head” (bellissimi e curatissimi anche i coretti dove arrivano ad intrecciarsi fino a quattro tracce di voce), la morbidezza di “I Never Came” e le sperimentazioni in “Skin On Skin” sono tutte prove di come Homme abbia voluto curare ed elaborare al meglio questo aspetto del disco.
“Lullabies To Paralyze” è un album vero, onesto e pieno di sentimento che sbatte in faccia ancora una volta (come se ce ne fosse bisogno) la genialità del chitarrista di Palm Desert il quale, abbandonati i suoi compagni di viaggio Lanegan ed Olivieri, dimostra di sapercela fare anche da solo sfornando un piccolo capolavoro che farà di certo parlare di se…nel bene e nel male…
Per gli amanti delle sperimentazioni ascoltate nelle “Desert Session” e per quelli che, come il sottoscritto, sono convinti che “Rated R” sia un album fantastico.

The Rawker

Dopo il successo planetario di “Songs for the deaf” ripetersi per i Queens Of The Stone Age era davvero difficile. Sia per una questione di forma (quando si diventa famosi sono molti a voltarti le spalle o a non accettare cambiamenti) che di contenuto (le idee non possono essere sempre brillanti). Di sicuro ad un genio come Josh Homme essere entrato in un circuito più ampio importa poco. La sua estrosa personalità emerge cristallina su questo nuovo disco, anche se a volte si ha la sensazione che le cose siano state fatte un po’ troppo in fretta, come sotto pressione…
Ma andiamo con ordine. Partiamo dai punti a favore. In primis la sorpresa: chi si aspettava un nuovo “Songs for the deaf” rimarrà deluso perché il buon Joshua se n’è fregato ed è andato a ripescare certe atmosfere drogate e ipnotiche di “Rated R” e delle Desert Sessions. In secondo luogo c’è una costante ricerca sulle melodie vocali (si percepisce la presenza di Chris Goss e Mark Lanegan, protagonista dell’iniziale nenia “This lullabye”) ed una tendenza all’hard blues catatonico e groovy che spiazza e diverte (non a caso c’è ospite Billy Gibbons direttamente dagli ZZ Top). Infine, l’album ha una freschezza che traspare dopo ripetuti ascolti, quindi se al primo colpo restate delusi non vi abbattete, lasciate passare un po’ di tempo e riascoltate il disco, ne rimarrete piacevolmente sorpresi.
Ma veniamo ai lati negativi. Innanzitutto manca il tiro selvaggio dell’ultimo lavoro, il che non è un difetto ma il segno che l’assenza di gente come Nick Oliveri e Dave Grohl si fa sentire (e non poco). Inoltre sorprende qualche passaggio a vuoto, come quello tra la sesta e l’ottava traccia: “In my head” (ripresa dalle ultime Desert Sessions) ha una melodia stupenda ma è un brano troppo fuori target per i QOTSA; “Little sister” è il singolo che fa da traino, ha dei soli di chitarra da brividi ma non regge l’impatto del predecessore “No one knows”; “I never came” è una ballata sentita, malinconica, riuscita ma non troppo. Se si aggiunge la conclusiva “Long slow goodbye” (simpatica ma nulla più) ecco a voi i punti nei quali “Lullabies to paralyze” viene meno.
Detto questo, ci sono i pezzi nei quali viene da dire “ecco cosa voglio dai Queens!”. E parliamo della ruspante “Medication”, della meravigliosa “Everybody knows that you’re insane”, della sincopata, bellissima “Tangled up in plaid”, della divertita “Broken box”. Altrove invece troviamo gli spunti che osano di più e vanno oltre gli schemi che hanno reso celebri i QOTSA. Basti ascoltare la deviata “Someone’s in the wolf”, l’oscura “Blood is love”, il robot rock di “Skin on skin” o i blues imbevuti d’acido di “Burn the witch” e “You’ve got a killer scene there, man!”. Questi sono i momenti migliori del disco, quelli sui quali Homme sembra aver puntato (maggiormente nella seconda parte del cd) per una successiva evoluzione del suo sound.
Saranno in molti ad essere insoddisfatti di “Lullabies to paralyze”, così come in molti lo esalteranno. La verità al solito sta nel mezzo. I Queens Of The Stone Age sono una macchina in continua evoluzione e il loro nuovo disco lo dimostra per l’ennesima volta. Non ai livelli del primo, inarrivabile lavoro ma un tassello decisivo che non può che maturare.
Ascoltare per credere.

Alessandro Zoppo