Queens of the Stone Age – Queens of the Stone Age
Le ferite prodotte dallo scioglimento dei Kyuss, l’istituzione dello stoner rock e uno dei migliori gruppi dei ’90, è ancora forte e brucia tremendamente nell’animo dei fans, come se “…and the Circus Leaves Town” avesse cosparso sale e limone in esse e le avesse assaporate come una splendida Corona sotto il sole afoso di agosto in quel di Palm Desert.
Tutto è iniziato in questa ridente cittadina californiana e, per una serie di eterni corsi e ricorsi, da qui parte l’avventura che porterà i Queens of the Stone Age sul tetto del mondo, entusiasmando i fans con dei capolavori quali ‘Rated R’ e ‘Songs for the Deaf’.
Josh Homme vuole ripartire da zero senza dimenticare del tutto i Kyuss e lo dimostra facendo salire a bordo il grande Alfredo Hernandez (batteria in ‘Circus’, nonchè anima degli Yawning Man e Ché, rispettivamente con Joe Lalli e Brant Bjork), ma facendosi aiutare nell’impresa dallo storico produttore dei Kyuss (Chris Goss, mente dei Masters of Reality, produttore di Screaming Trees, Slo Burn, Nebula e Mondo Generator), Dave Catching (Desert Sessions, Earthlings?) e Fred Drake (scomparso padrone del Rancho de la Luna e membro degli Earthlings?).
Ed è subito magia, come nel cartone che vedeva protagonista Johnny perennemente in ballo di due gnocche astronomiche come Tinetta e Sabrina. Sabrina è l’anima kyussiana e più dura che non viene abbandonata ed esce fuori in pezzi come ‘Walking on the Sidewalks’ e ‘Hispanic Impressions’, seppure la parte melodica abbia il sopravvento sull’aggressività del gruppo in cui c’era Garcia. Homme decide di cantare e sperimentare quel ‘robot rock‘, visto che lui odia la definizione ‘stoner’, non gli appartiene considerando il suono dei Kyuss un rock dei ’70 contaminato dalle sonorità dei ’90. Ma è veramente tutto qui?
Eppure la psichedelia continua ad affiorare (‘You Can’t Quit Me Baby’), il rock puro e duro c’è (‘Regular John’, ‘Avon’, ‘Mexicola’), ma è tutto rivisto e rielaborato, più flessibile e zuccherino, distorto ma non solo dagli effetti mescalinici e incendiari della chitarra di Homme ma anche per le tastiere, insolita trovata che stupì i fan dei Kyuss.
Chi si aspettava un album prettamente chitarristico forse rimase deluso, ma scoprì un capolavoro targato John Homme, che suona chitarra e basso, canta e preme i tasti della stanza dei bottoni dimostrando forse che lui era capace di sopravvivere alla fine di un’era. Riff al fulmicotone, acidità nelle note ma anche sonorità catchy, sezioni ritmiche divertenti senza perdere in aggressività perché ha scelto Hernandez, uno capace di scrivere un brano meraviglioso come ‘Avon’.
I sentori preannunciati nello split con i Kyuss (1997) e quello con i Beaver (1998) sono delle conferme, per l’ottimo livello qualitativo e quantitativo del disco. Non ci sarebbero abbastanza parole per descrivere un disco che meriterebbe almeno 8 come voto e saprebbe di bocciatura. Procuratevelo, perché questo basta a rimpiazzare i lavori in calo come ‘Lullabies to Paralyze’ e ‘Era Vulgaris’.
Gabriele ‘Sgabrioz’ Mureddu