RED HARVEST – Internal punishment programs

Li avevamo lasciati un paio d’anni fa quando le nostre orecchie grondavano ancora sangue dinanzi alla pesantezza fuori di senno di “Sick transit gloria mundi”. Li ritroviamo ora con un nuovo lavoro che per certi versi è un passo indietro nella carriera dei Red Harvest. E’ come se il gruppo norvegese con “Internal punishment programs” sia voluto andare alla riscoperta delle proprie origini. Non un passo indietro nella qualità dunque, bensì nella voglia di sperimentare e di abbattere confini.La componente industrial e certi tagli di doom apocalittico sono messi in secondo piano. Ciò che è privilegiato è l’impatto, duro e puro. Detto così può sembrare una mossa sbagliata ma l’ascolto fa pensare il contrario. Metal estremo, o meglio, portato alle estreme conseguenze. Ma reso in modo compatto e convincente. Si percepiscono echi di Fear Factory, Ministry, Voivod, Sepultura e Meshuggah. La rielaborazione però è molto personale se è vero che “Anatomy of the unknown” ha ritmiche tritatutto e un feeling morboso. Se è vero che “Mekanizm” mischia con gran classe metal, dark wave e beat ossessivi, “Teknocrate” dilata allo spasimo thrash e cadenze doomy e “Wormz” sputa riffoni cattivi su una base techno industrial.
Il pessimismo e la visione di un futuro dominato dalla macchine sono ancora i temi principali. Magari qualcuno nutriva aspettative troppo elevate per questo disco. E forse proprio per questo saranno in molti a storcere il naso. Ma qui ci sono da riconoscere molti meriti. “Internal punishment programs” non sarà un lavoro fondamentale ma quanti sono oggi in grado di descrivere con tanta lucidità gli scenari malsani e alienanti del presente prossimo? In fondo la band di Ofu Kahn prosegue per la propria strada.
Disco non scritto a tavolino ma figlio del momento e dell’ispirazione. “Sick transit gloria mundi” resta insuperato ma questo nuovo capitolo mantiene fede alle aspettative e non deluderà i fan della band.

Alessandro Zoppo