SHEPHERD – Lament
Altra uscita vincente in casa Exile On Mainstream: questa volta, dopo aver affrontato le varie sfaccettature dello stoner e del rock’n’roll, si passa al doom, quello duro e puro che ha posto le sue radici negli anni ’70, ha fatto scuola negli anni ’80 ed è stato riportato alla luce nel corso dell’ultimo decennio. A pagare dazio ad un genere ormai immortale ci pensano i berlinesi Shepherd, quartetto che sotto la benedizione del mito vivente Scott “Wino” Weinrich (la cui frase “I’m happy that there are bands like these guys, keeping the spirit alive. Shepherd rocks! A real killer!” campeggia nel booklet del cd) sforna un dischetto contenente sette lunghe tracce di doom cinereo e torrenziale.
C’è subito da mettere in chiaro una cosa: qui dentro non troverete nulla di innovativo o di geniale, l’obiettivo dichiarato del gruppo è quello di suonare nel modo più vecchio possibile, rispettando i canoni stilati da gente del calibro di Black Sabbath, Saint Vitus, Candlemass, The Obsessed e Pentagram. Obiettivo pienamente riuscito visto il sound cupo ed evocativo riesumato dalla band, alle prese con litanie funeree dall’alto contenuto depressivo. Già a partire dallo splendido artwork (corpi crocifissi, cimiteri e paesaggi spettrali, quasi in continuità con l’ideologia cristiana dei maestri Trouble) si percepisce il feeling oscuro che permea tutte le composizioni, caratterizzate da chitarre lente e corpose che si sposano alla perfezione con una sezione ritmica fragorosa e l’impatto declamatorio delle vocals. Brani come l’iniziale “Healing” e la tenebrosa”Suburban boogie” chiamano in causa l’operato dei Cathedral attraverso parti vocali che fanno scattare subito nella mente i suoni distruttivi di Lee Dorrian e soci, mentre un macigno come “Times” sembra un tributo a Bobby Liebling e i suoi Pentagram. I padrini Saint Vitus sono invece evocati dall’andamento asfittico di “Black faced witch”, martellamento incessante che culmina in una coda acustica da brivido.
L’assalto continua con “Sleepless”: intriganti intrecci vocali si adagiano su un wall of sound impressionante, pura essenza doom elevata all’ennesima potenza… “The art of being lost” pare uscire da “Sun meditations” degli ormai sciolti Neavus, dimostrazione che anche la matrice del doom tedesco è presente nel background degli Shepherd. L’epilogo infine è affidato alla lunghissima (oltre 11 minuti) “The coldest day/The story of the holy drinker”: la prima parte alterna urla disperate, squarci melodici, rumori maligni e improvvise accelerazioni, la seconda conclude il tutto in bellezza tra chitarre acustiche, percussioni, parti recitate e sussurri inquietanti.
“Laments” è un disco dal sapore antico, bello proprio perché intelligentemente retrò. Shepherd, i nuovi profeti dell’estetica decadente.
Alessandro Zoppo