SHOVELHEAD – Spitting Oil

Terzo disco e terzo centro per gli Shovelhead. Il secondo album ‘Red Sky Horizon’, edito nel 2003, evidenziava già ottime doti di scrittura ed esecuzione. Ora la band (Jim voce e chitarra, Mike alla batteria, Sha al basso) prosegue il proprio percorso sonoro con questo ‘Spitting Oil’, lavoro che farà la felicità di chi ha il rock classico nel cuore. Rispetto all’uggiosità da Seattle sound della precedente uscita abbiamo infatti un sound più schietto e verace, tremendamente calato nel mood hard psych dei ‘70s. Come se dal presente i tre abbiano fatto un tuffo al passato per pescare il meglio del loro retaggio. Quanto Blue Cheer, Budgie, l’Experience di Jimi Hendrix e Leafhound hanno insegnato a intere generazioni di musicisti.Lo dimostra in pieno la prima parte del cd. La doppietta iniziale formata da “Lost in the Desert” e “The Burning” pigia forte sull’acceleratore del groove, mentre le successive “The Mission” e “Ghost in Time” dilatano i propri orizzonti verso fatate sponde psichedeliche. Basso e batteria viaggiano spediti e carichi, la chitarra di Jim si libera in volo quando la sua voce non ci aggredisce selvaggia. Attenzione però, qui non parliamo di stoner rock: qui è in ballo una attitudine davvero seventies, che esce fuori da ogni microsolco di questo album. L’assolo di batteria di Mike in “The Calling” e le sensazioni da jam mozzafiato di “18 Years” sono eloquenti a tal proposito, così come l’acid rock visionario della conclusiva “Chateau of Silling”.
Ci piace tantissimo questa macchina bollente che sputa olio. Immaginiamo gli Shovelhead come degli operai del suono, intenti a recuperare quella vena autentica, sporca, dannata, reale che manca a tanta musica di oggi.

Alessandro Zoppo