SKYWISE – Morning Star

Vista la sempre più massiccia presenza di band stoner italiche è giusto tributare un forte riconoscimento anche agli Skywise, autori di un’abile miscela di stoner desertico e doom psichedelico per un’esplosione di cupe visioni e odori mesmerici. Il primo cd ufficiale del gruppo capitolino infatti, pur essendo uscito ormai 3 anni fa, presenta nove brani che brillano di oscura lucentezza, pezzi che avvolgono nel loro bagliore accecante e conducono verso una nuova dimensione sensoriale. Una valida produzione e una veste grafica essenziale ma davvero di ottimo livello fanno il resto.

Si parte alla grandissima con “Rise from the Ashes (404)”: una chitarra effettata all’ennesima potenza che svirgola subito in wah-wah saturi di elettricità apre il campo ad una sezione ritmica formato carroarmato, un panzer impazzito in piena corsa. L’atmosfera è quella prettamente heavy psichedelica, molto kyussiana ovviamente (soprattutto nel solo di chitarra), ma sporcata a dovere da infiltrazioni spaziali rumoriste e cadenzate. Non c’è che dire, i quattro ci sanno fare, lo dimostra la compattezza del loro suono, mai monotono o monocorde e anzi aperto a molteplici sfaccettature stilistiche.

“Mountains of the Moon” ha la classica impostazione sabbathiana, evidenziata dai mastodontici riff di chitarra di Emiliano Giardulli ed Ennio Cecaro, ma subito viene fuori anche l’influenza distruttiva (nel senso buono del termine) di grandi stoned freaks come gli Electric Wizard. Con “The Darkest Hour (Morning Star)” vengono in mente gli immensi e purtroppo poco rimpianti Acrimony: il bassone iperdistorto di Francesco Esposito e il drumming ossessivo di Francesco Buoniconti impattano contro i feedback delle due chitarre, per esplodere in un incedere trascinante che ti scuote fino al midollo.

Le vocals di Francesco reggono bene la forte carica emanata dai Marshall, veri propulsori di energia stonata. Le tenebre ci avvolgono ancora grazie alla pesantezza di “My Rotten Kingdom”, espressione del lato granitico e plumbeo della band, brano che nella parte iniziale ricorda gli ultimi Candlemass e nell’assolo tutto tremolo e distorsione i grandi Natas. Con “Hellgate” siamo in pieno deserto, o meglio, in pieno inferno: il sole batte forte, il caldo è torrido e gli umori della musica riflettono bene questo stato d’animo. Lo spettro dei Re di Palm Springs aleggia prepotentemente (il finale infinito alla “Supa Scoopa”), ma le coordinate stoner sono rallentate ed espanse fino all’inverosimile, soprattutto nelle linee dinamiche del basso e della batteria, davvero tritaossa.

“Beyond Redemption” parte invece rilassata, ma non dà nemmeno il tempo di riprendere fiato che sbatte addosso tutta la sua gigantesca mole, frutto di una forte ascendenza hard psichedelica di matrice Seventies e dell’heavy psych odierno. Una cavalcata continua, lungo strade bollenti, fino ad arrivare a “Earth 2012”, un missile lanciato in orbita spaziale, dove le chitarre si rincorrono lungo traiettorie tortuose e mirabolanti, rette in questo gioco da una batteria indiavolata, circolare, fatta su misura per il basso vorticoso e le vocals angoscianti. Un’atmosfera fumosa avvolge poi “The Ghastly Workshop of Hiram Kyram”, compendio di space rock psichedelico dagli intenti lisergici, ascoltare la parti vocali malatissime per credere. In questo caso la band crea un impatto terrificante, basato principalmente sulle chitarre invase di wah-wah, ma che si rende tale anche per l’apporto essenziale del moog suonato da Ennio.

Chiude l’album “Farewell Blues”, track registrata dal vivo, molto settantiana nei modi ma heavy psichedelica nella sostanza: la registrazione non è delle migliori, ma basta per farci intendere l’elevato coinvolgimento che il combo deve produrre dal vivo. Giunti alla fine posso senza dubbio affermare che dopo Acajou, Hogwash, Vortice Cremisi, That’s All Folks!, Ufomammut e OJM un nuovo astro splende nel cielo dello stonerama italiano, quello degli Skywise. “…wait for the day to come, wait for the sun to shine, lay let your soul be calm, praise the morning star…”

 

Alessandro Zoppo