SOLACE – 13

I Solace si affacciarono sulla scena doom-rock nel 2000 con ‘Further’, disco che riscosse tanti consensi per via di un sound nero e pesante. Senza dubbio un lavoro fresco e alquanto personale.
Dopo tre anni la band del New Jersey esce (su Listenable in Europa, Meteorcity in Usa) con dei brani scuri e arrabbiati meno doomy del precedente e più aperti all’heavy-groove. Non sono tutti dei capolavori, lo diciamo subito, ci sono delle piccole cadute di tono qua e là, si usano dei clichè e degli sviluppi già sentiti, che fanno fare al disco un piccolo passo indietro rispetto al precedente. Sinceramente le aspettative sono state un po’ deluse.

C’è da dire anche che 13 non è assolutamente un lavoro che si fa piacere per forza, che ammicca. I primi ascolti avevano lasciato poco o niente, bisognava entrarci dentro più a fondo. Ai Solace riesce molto bene essere a pieno regime e di parti lente e sulfuree questo disco in pratica non ne ha. Loving Sickness/Burning Fuel apre bene. L’inizio è blues-rock, poi il pezzo accelera un paio di volte e si dimezza all’improvviso come due sberle vigliacche. Qui, c’è spazio per l’armonica. Indolence si segnala invece più per un bel solo di Wino (St.Vitus, Obsessed e Spirit Caravan) che per il resto; il leader maximo del doom moderno ha maggiore spazio in Common Cause ( lead vocals e chitarra) ma anche qui non brilla. È il suo registro pulito e la canzone troppo semplice e scarna che non convince, stride messa lì nella tracklist e con il mood dell’intero album.

Da par loro, i Solace rifanno molto bene Forever My Queen dei Pentagram, altra icona del doom-rock moderno ma il brano è più rock settantiano che doom lugubre. Dove la band di Tommy Southard splende è nella avvolgente e granitica King Alcohol o nello stoner-rock di Sled Heavy. Entrambe ospitano Keith Ackerman ( ex Atomic Bitchwax) alla batteria e la differenza con il pur buon John Proveaux si sente. Keith suona secco e quadrato, preciso ed essenziale. Ma perchè non se lo mettono dentro??

Poi ci sono brani da prendere o lasciare come Around The Sun dove il cuore va da una parte e il cervello dall’altra, brani perfetti perchè trascinanti ( perchè è così che devono suonare) ma idee musicali nuove poco o nulla. C’è la voce di Jason però a dare un’impronta inconfondibile alla band. Potente, corposa, spesso al limite e tagliente.
Rice Burner contiene ancora poche scorie di stoner trito e ritrito ma si risolleva in più punti con grande intelligenza. Chiude un’altra cover, With Time degli Agnostic Front. Sulle ghost tracks riserbo assoluto.

I Solace dovranno aspettare forse il prossimo album per dimostrare in pieno di essere band matura e con una poetica autonoma. Su ’13’ ci sono diversi tracce disseminate qua e là ma i margini di miglioramento sono ancora ampi.
Sul sito della Listenable ci sono un paio di mp3.

Francesco Imperato