Sonic Flower – Sonic Flower

Dal Giappone con furore. Una nuova creatura è sorta dalle terre del Sol Levante per portare in vita tesori nascosti e attuali proposte in campo heavy rock doom: si tratta della Leaf Hound Records, piccola ma agguerrita label che fa capo a Toreno Kobayashi, il quale con grande spirito di intraprendenza sta cercando di diffondere il verbo stoner anche nel paese asiatico.

La prima uscita targata Leaf Hound è il progetto Sonic Flower, band spin-off che vede nella propria line-up Tatsu Mikami e Hoshi Takenori, rispettivamente basso e chitarra dei doom masters nipponici Church of Misery (ricordiamo che il loro “Master of Brutality” è stato edito dalla Southern Lord). Dopo varie vicissitudini che hanno portato ad un cambiamento di formazione, il gruppo si è assestato con l’ingresso di Fukawa alla batteria e di Arisa alla chitarra solista, scelta coraggiosa visto che al suo posto doveva esserci un cantante. Tirando però le somme, la scelta strumentale si è rivelata vincente: i quattro si scatenano infatti in brani vigorosi e travolgenti, carichi di groove e riff selvaggi che trasudano passione da tutti i pori.

Ovviamente il genere è molto lontano dal doom perverso della band madre: nei sei brani che compongono il dischetto, ci troviamo di fronte ad un fuzz rock che si ispira sia a sonorità anni ’70 (tanto per fare qualche nome: Blue Cheer, Mountain, Jimi Hendrix e Cactus su tutti) che a fenomeni odierni come Fu Manchu, Karma to Burn, Nebula e soprattutto Atomic Bitchwax.

Il tocco blues di Arisa chiama esplicitamente in causa il lavoro di Ed Mundell e soci, evidente in pezzi possenti e dinamici come l’iniziale “Cosmic Highway” e la successiva “Black Sunshine”, distillati di energia allo stato brado dove i wah-wah corrono veloci e le ritmiche impazzano su effetti dall’impatto stordente.

In “Astroqueen” e “Sonic Flower” il groove delle chitarre sale a livelli davvero vertiginosi, complici un drumming assassino e degli assoli che si incrociano e si sfidano in duelli allucinanti. “Indian Summer” è invece un episodio heavy psych liquido e visionario dall’incedere roccioso ma contenente un elevatissimo tasso lisergico, stemperato nella conclusiva “Goin’ Down”, epilogo furioso di un disco pressoché perfetto che ha come suo unico limite una durata fin troppo breve (25 minuti).

Le prossime mosse in casa Leaf Hound prevedono l’uscita di “Permanent Brain Damage”, cult demo re-masterizzato dei doomsters Blood Farmers, e le prime due releases ristampate su doppio CD dei Church of Misery. Se queste sono le premesse ed tale è il livello qualitativo, attendiamo i nuovi lavori targati Leaf Hound con enorme ansia.

Alessandro Zoppo