SPITTIN’ COBRAS , THE – The Spittin’ Cobras

Sei brani semplici semplici per far muovere culo e piedino. Un po’ di hard blues direttamente dagli anni ’70, country quanto ne basta, Hellacopters da citare per dovere, melodie di stampo Black Crowes, spruzzate della Explosion di Jon Spencer e impennate di Honky e Daddy Longhead più southern e meno stoner. Miscelate il tutto ed avrete The Spittin’ Cobras. Tre ruspanti ragazzi di Minneapolis che in questo esordio auto prodotto ci trascinano a colpi di whiskey e rock’n’roll in un mondo che pensavamo non esistere più. Quello dei saloon malfamati, della conflittualità selvaggia ma genuina, dello spirito musicale fatto con ragione e sentimento.Lo ammettiamo, ci sono simpatici questi Spittin’ Cobras. Sia per il nome scelto che per i nomignoli che si sono dati. Chi suona la chitarra e canta diventa Howlin’ Youngblood, passione e culto per i padri che si bruciano subito, il tempo di qualche bicchiere da buttar giù. Il basso pulsa, vibra come un dannato, si esalta come chi fa sesso dopo mesi e mesi di clausura. Coy Vance ne cura la resa. Alla batteria c’è invece The Bandit, maschera inquietante, novello prometeo che ruba il groove e ce lo dona con ritmo incosciente.
“Burned”, “Hounds of rock’n’roll” e “Get out now” sono manifesti programmatici, rock con le palle, che nulla inventa ma nulla pretende, solo buone vibrazioni e condivisione d’intenti. “Whore of the castle” odora di sesso e perdizione lontano un miglio, “Think twice” pesta con il dovuto gusto (la melodia appiccicosa non manca certo), “All out of ones” ha il riff giusto per conquistare la pollastrella seduta a fianco a voi… E se ciò non bastasse, la ghost track è un focoso blues che sembra uscito da un’incisione di Skip James del 1931, contenti?
Poche storie, il rock’n’roll ha bisogno di gente così.

Alessandro Zoppo