Terremoto / Drone of the Dragonfly – Split LP
Uno split album separato, quasi si trattasse di due EP totalmente distinti tra loro e invece segretamente accomunati, oltre che da musicisti condivisi (come i cantanti Bo Morthen Petersen e Morten Kjersgaard Nielsen) dal fluire di un’identica energia: quella dell’atavico passato delle popolazioni indigene.
TerreMoto e Drone of the Dragonfly sono i protagonisti di questo viaggio a ritroso, due significative band della scena alternative danese. Del resto, il lavoro è esplicitamente dedicato alle popolazioni indigene del Nord, del Centro e del Sud America, e questo intento è perfettamente percepibile dall’impianto sonoro, tanto curato quanto intriso di rimandi arcaici, che strizzano l’occhio ad epoche ormai estinte.
Il lato veramente oscuro di questa “faccenda” è sicuramente dato dai suoni al ribasso dei TerreMoto, che fanno vibrare l’aria ad alte magnitudo. Uno stoner rock granitico, desertificato e corroborato da elementi di stampo acid rock che non si fa mancare nulla, nemmeno qualche flebile sentore di elettronica. Le quattro tracce rappresentano un crescendo di suoni granitici e riff al vetriolo, un amalgama che funziona, anche se non spicca per innovazione. A celarsi dietro il significativo nome della band è Alioscha Brito-Egaña (President Fetch, Java Skull ed ex C.A.P.S.). È lui a suonare tutti gli strumenti con l’ausilio di tre cantanti ospiti: Bo Morthen Petersen (Black Seagull), Morten Kjersgaard Nielsen (President Fetch) e Henrik Busacker. Nel complesso un piacevole impasto fonico al gusto di rock psichedelico alla QOTSA.
Più originale il lavoro dei Drone of the Dragonfly, con tre tracce intense supportate da interessanti accorgimenti strumentali. Un intro esotico, quasi esoterico, condensato di bordoni e fluttuanti suoni prolungati da un delay che rende al meglio l’idea di un’epoca lontana, evanescente. Tra gli strumenti musicali, infatti, non è difficile rintracciare il sitar, vero e proprio piedistallo della musica classica indiana che, col suo timbro inconfondibile, conferisce al disco la giusta impronta etnica. Un inno all’era tribale che soddisfa pienamente l’ascoltatore anche per l’accuratezza della registrazione in studio.