That’s All Folks! – Psyche As One of the Fine Arts

Take ONLY as directed. Così recita l’indicazione che i Laboratori TAF danno sul retro del booklet di questa nuova forma di droga: non più erbette né pastiglie colorate, basta un semplice lettore CD e un dischetto del genere e il risultato sarà semplice: l’esplosione della nostra fantasia! Il secondo disco dei pugliesi That’s All Folks! (dopo l’ottimo esordio “Soma… Third Way to Zion”) è la cura giusta per chi soffre di stress e ipertensione. Ascoltare del materiale così visionario ed incandescente placa l’animosità feroce della società di oggi, riporta indietro negli anni, riesce a mutare la direzione dei pensieri. Il gruppo barese ha saputo creare in un’ora scarsa una vera e propria avventura psicotropa da esplosione neuronale.

L’impasto è il solito: psichedelia e heavy rock in grandi quantità, dosate con maestria e saggia padronanza di mezzi e capacità, con una vena ancora più lisergica a farla da padrona. Peccato soltanto per la produzione, davvero scadente. “Psyche As One of the Fine Arts” si apre con la strumentale “Firesphere”, un antipasto a base di chitarre circolari e feedback acidissimi che fanno da trampolino di lancio per “Jumboo”, dove la struttura si fa ipnotica e fumosa, la voce e il lavoro di chitarra di C.C. (i dottori del Laboratorio hanno scelto l’inizialismo, questioni di riservatezza?) insieme a quello di L.S. si alternano tra sfuriate e sontuosi ricami colorati, mentre la sezione ritmica (N.M. alla batteria, preciso e possente, e M.R. al basso, tellurico come pochi) detta i tempi in modo regolare e costante.

“The Plasma” è un’avventura nel corpo della materia, Claudio urla come un indemoniato e le infiltrazioni di tastiera riescono a rendere il brano ancora più estraniante, con un appeal melodico nel chorus e nell’assolo di chitarra sul finire davvero emozionanti. La stessa strategia è adottata in “Always Radiant and Fucked”, luogo di contemplazione introdotto da samples lugubri e da un lavoro di batteria furioso, che si evolve lungo trame care al doom da un lato e all’heavy psych più canonico dall’altro, ma con una componente sempre ben in vista: dare al tutto quel tocco ossessivamente statico e percettivamente coinvolgente dell’introspezione psichedelica.

I ritmi salgono vertiginosamente grazie a “Real Last Night”, l’aria diventa satura di elettricità, così le chitarre impazziscono in fuzz e wah-wah assolutamente deliranti (vengono in mente i Nebula, ovviamente) che trasportano direttamente verso una doppietta di pezzi micidiali. La strumentale “I’m Half-Sick of You” condensa in pochissimo tempo l’essenza dell’intero album, tra una melodia soffocante, la rabbia dilaniante e l’acidità mentale (ascoltare il finale assurdo per credere), mentre “Soul.vent” è pura psichedelia, espansione del corpo e dello spirito a 360 gradi verso lidi mesmerici e melliflui, dove le vocals sono rilassate, entra un piano magico a donarci emozioni vibranti, fino all’esplosione delle chitarre, fragorose e liquide come un fiume in piena, ricco di detriti che sporcano e feriscono ma fresco e incessante, proprio come il fluido che scorre nella nostra anima.

“Motormouse & Autocat” è invece un episodio più diretto, dall’appeal garage, trascinante e flippante quanto basta, così come la successiva “Dany”, che indurisce ancora di più il sound con linee vocali aggressive e uno stacco sognante da viaggio intorno al cosmo. Ciò che segue è un piccolo capolavoro che già conosciamo, ossia la mitica “March of Chameleons 2K”, presente sull’ormai storico “Cookery Course” e qui riproposta per l’occasione nella sua consueta forma intensa e ficcante, ricca di chitarre granitiche (l’assolo finale è immenso) e caratterizzata dal suo incedere maestoso.

A chiudere l’album ci pensano gli oltre sette minuti di “Psyche”, cavalcata che si dipana tra un caleidoscopio di atmosfere diverse, da quelle tipicamente lisergiche e catatoniche (l’incipit onirico e tenebroso) ad altre marcatamente heavy dal groove pazzesco, la giusta conclusione per un disco davvero vario in quanto al modo di intendere ed elaborare l’elaborata materia stoner rock. A parte la ghost track orrorifica, non rimane altro che consigliare (obbligare?) l’ascolto di questo disco, testimonianza di come in Italia le acque si stiano muovendo (o meglio, si sono già mosse) e nel migliore dei modi possibili.

Alessandro Zoppo