THRANGH – Il castigo esemplare

C’è un interesse crescente intorno a questo gruppo romano, ragione per cui ospitiamo la recensione anche se non c’è traccia di doom, stoner, fuzz o di Gibson SG tra questi solchi. Ma del resto i confini di Perkele sono labili, aperti, e la buona musica non va mai sprecata.Su Thrangh verrebbe d’istinto da pensare al termine jazzcore, se non fosse che il termine non ci comunica nulla e che non basta un sax nell’organico per fare jazz (cosi come non basterebbe una chitarra elettrica per fare rock). Diciamo piuttosto che i Thrangh fanno parte di quella schiera di persone interessate a mescolare jazz, rock, funk, fusion, senza confini – come prime movers quali Iceburn (qualcuno ricorda “Poetry of Fire”?) e Minutemen hanno saputo fare tra ’80 e ’90. Ma immaginiamo che i loro ideali riferimenti affondino ben più indietro nel tempo e nello spazio, probabilmente a quelle “Direzioni in Musica” dettate tra ’69 e ’75 dallo Sciamano Elettrico Davis.
Comunque sia, “Il castigo esemplare” è un disco sorprendente. Il gruppo è preparato, e probabilmente i pezzi sono frutto di una lunga gestazione. Registrato in una seduta dal vivo, il lavoro è un piccolo magma sonoro in 8/9 movimenti. Le tracce sono divise in realtà solo per convenzione, perché il percorso è unico. Difficile quindi mettere in evidenza singoli passaggi, si può piuttosto provare a tracciare qualche impressione. Basso e batteria descrivono una robustissima sezione ritmica, scandiscono tempi pari e dispari (più i secondi che i primi!), incessantemente. Sopra di essi si elevano chitarra e sax, utilizzati con controllo e intelligenza notevole. La prima è quanto mai versatile, passa da riff metal ad accordi funky, tracce di guitar-synth, settime aumentate (e diminuite). Il sax riempie gli spazi melodici tra i brani, assicurando continuità ed un timbro più personale al gruppo. In particolare menzioniamo la traccia 4/5, dove ad una intro arpeggiata seguono sax e guitar synth che disegnano una figura di ampio respiro: vero funky futuribile. La qualità della registrazione è ottima, agevolata peraltro dal tecnica non indifferente dei membri del gruppo. Ma i Thrangh sanno andare al di là della tecnica pura e, merito ben maggiore, sanno fondersi in un unicum senza solismi disperati. Feeling e disciplina sono quello che contano, soprattutto.
Le loro direttrici musicali? Diciamo un quadrilatero ai cui lati ritroviamo Coltrane, Zorn, Area e Mahavishnu Orchestra. Con le dovute proporzioni, sia chiaro. Il castigo esemplare, peraltro, è solo un punto d’inizio. E Thrangh una nuova realtà destinata a crescere (i consensi stanno arrivando, la rassegna MArteLive li ha già premiati). Menzione speciale per la citazione di Lautréamont in retrocopertina. Da questi, forse, i Thrangh hanno imparato l’arte della metamorfosi.

Sergio Aureliano Pizarro