TURBOMATT – Turbomatt

Boogie’n’roll selvaggio, rilassanti atmosfere lounge psych, beat elegante e garage grezzo. Con rimandi cinematografici che vanno da King Kong a Freaks e Georges Méliès. Questi sono i Turbomatt, trio strumentale che suona come un gruppo punk con la testa negli anni 20. Fano Adriano è la base, laghi profondi e deserti sconfinati la meta. Basta una chitarra, quella scarna ed essenziale di Turbo Ex. Poco fumo e molta sostanza, i riff giusti al punto giusto, solo il wah wah per dare profondità ed emozione. Il basso di Turbo Fra è un’altra arma vincente, carico com’è di groove e passione, degno compare della batteria precisa e ‘stilosa’ di Turbo Mark.Disco di debutto autoprodotto composto da dieci pezzi che sono l’attraversata dello spazio profondo. Dalle atmosfere stile Yawning Man e Ché di “United” e “Springfield” si passa con agilità ad episodi boogie diretti e aspri come “Surf Maniacs” e “Boogie Woogie”. “Black Vein” è un gioiello di cupa e oscura lucentezza, “Turbomatt” e “Sleep Red Wine” suonano come tutto ciò che ha circumnavigato l’universo Kyuss, dai lavori solisti di Brant Bjork ai Ten East di Gary Arce, Mario Lalli e Scott Reeder. Il piacere della jam e la materializzazione di dune che si perdono in un cielo blu cobalto. “Deep End” tende verso la psichedelia heavy con riff e svisate acide che rapiscono sin dal primo ascolto; “Astroman” lambisce lo stoner con il suo incedere ipnotico e le sue meravigliose aperture aggressive; la conclusiva “Baby”, con tanto di traccia nascosta, è il temporale estivo che ricarica l’animo di malinconia.
Da Ex e Mahatma a Turbomatt il passo è breve. E ha la forma bizzarra di una macchina del tempo, di una buccia di banana sulla quale scivolare, di una torta in faccia, di Arjumand Banu che danza sensuale ed erotica tra i suoi serpenti. Solo per oggi, in bianco e nero, per la prima volta al cinematografo.

Alessandro Zoppo