TWIN EARTH – South of the border
Con l’esordio “Black stars in a silver sky” i Twin Earth avevano convinto molti, tra addetti ai lavori e appassionati dello stoner. Ora, a quattro anni di distanza da quel lavoro che metteva in evidenza una predilezione per le sonorità di Kyuss e Monster Magnet, i tre svedesi tornano tra noi con il secondo capitolo della loro vita artistica.
“South of the border” evidenzia una netta apertura di campo compositivo: maggiore spazio alla melodia e brani più brevi e ragionati, come lo stile creato e portato al successo dai Queens Of The Stone Age sta imponendo a chi vuole tirarsi fuori dal giro post Kyuss.
Tuttavia l’innovazione lascia minori segni rispetto all’adozione devota dei canoni del genere. E questo non è necessariamente un male. Soprattutto perché i Twin Earth inondano le nostre orecchie con uno stoner rock indiavolato, una continua eruzione di fuzz e wah-wah che non lascia prigionieri. Non siamo certo al cospetto di un disco originale o altamente essenziale. Ma sapete una cosa? Chi se ne frega! Qui quello che conta è la potenza ed il trio ne dispensa in ampie dosi.
Le melodie avvolgenti (perfette da canticchiare sotto la doccia…) di “Holy water”, “Black band”, “Run faster” e della title track sono emblematiche del mood che permea l’intero disco. Chitarroni circolari, assoli fulminanti (la prestazione di Oscar e John è da incorniciare), ritmiche secche e vocals coinvolgenti. Una base solida su cui costruire efficaci variazioni sul tema come “Cool song” (heavy psych da alterazione cerebrale), “Profound” (ballad soleggiata di ispirazione desertica) e “Let’s move” (chiusura strumentale da capogiro).
Purtroppo l’unico difetto del disco (la materia sonora è sempre la stessa) si rivela una strettissima camicia di forza e ne limiterà la diffusione. Detto questo, “South of the border” rimane un ottimo disco, purtroppo destinato esclusivamente a chi vive cibandosi di questo tipo di sonorità.
Alessandro Zoppo