Twingiant – Blood Feud
Non è molto semplice digerire questo cambio di rotta della band americana Twingiant, di cui abbiamo già recensito ben due lavori, Sin Nombre (2013) e Devil Down (2014). Le otto tracce questa volta non evocano fumosi giganti dal passo pesante nel deserto, che alzano polvere mentre avanzano. Proprio per niente.
Questa è una considerazione di per sé neutrale. Questo album non è meglio o peggio degli altri, è altro. Quanto death metal c’è nel background culturale dei Twingiant è dimostrato ampiamente in Blood Feud: seguendo una tradizione tutta americana influenze di Obituary e Death (Throttled e Ride the Gun) e dell’heavy metal classico (Shadow of South Mountain) sono ben strutturate in modo da risultare omogenee e paradossalmente gradevoli all’orecchio .
Ogni pezzo incede lento e heavy nel senso più crudo del termine. Di poche parole, come sempre, i ragazzi di Phoenix si esprimono al meglio nelle parti strumentali cicliche e martellanti – anche se producono una litania diversa da quella a cui siamo abituati negli ultimi anni.
Kaishakunin è il mio pezzo preferito, l’ultimo in ordine numerico. E non solo perché il boia sussurra e agonizza con l’ascoltatore. Trovo questa traccia la più d’atmosfera dell’album, quella che racchiude l’essenza dell’album stesso: contaminazione melodica, growl e atmosfere sinistre che sono la marcia in più di questo cambio di rotta della band che sembra aver trovato una valvola di sfogo (stilisticamente parlando) nuova e un approccio creativo molto interessante.
Nailed it guys!
S.H. Palmer