Uffe Lorenzen – Triprapport

Se tre prove fanno un indizio, manca poco per pensare che Uffe Lorenzen, meglio noto come Lorenzo dei Baby Woodrose, abbia mollato la sua band per dedicarsi interamente alla sua creatura solista. Ma al momento fermiamoci alla seconda prova, ovvero questo “Triprapport” che tradotto dal danese significa qualcosa come a proposito del rapporto, titolo che sembra preso direttamente dalla filmografia di Woody Allen.

A giudicare dall’iniziale “Psyconauten”, dolce e sensuale ninna nanna astro psichedelica con organo, chitarra acustica e space effects, sembra che il nostro sia voluto scendere in profondità nell’analisi dei rapporti umani. Quasi che sia tanta la necessità di mostrare l’incanto di fronte a quello che vede e sente da mostrarlo sublimato in piccoli gioielli musicali. La title track, ad esempio, è proprio un inno di gioia – sitar furbetto a braccetto con bongo e quattro accordi da paura – che, seppur non riusciamo a capire tutti i significati delle parole, ci arriva sano e robusto.

Come sano e robusto è l’aroma di spezie orientali misti ad effluvi del Gange di “Floden” (appunto fiume) che fa il paio con “Triprapport” in senso di Sixties joy blows your mind. Questa la parte chiara della faccenda, il senso di libertà e lasciarsi andare al bello della vita.

Uffe Lorenzen Triprapport

Uffe Lorenzen (foto: Zarko Ivetic)

Tutto ciò fa il paio la parte scura rappresentata dal trittico “Angakkoq”, “Lille Fugl” e “Aldrig Mere Ned”, questo un madrigale marziale quasi monocorde come un richiamo tribale e vichingo verso i propositi di non rimanere schiacciato di fronte alle condizioni sfavorevoli dell’esistenza.

Si chiude con la cover di “Hallo Hallo Froken” di Hans Vinding, cantautore danese morto poco più che cinquantenne, un brano che nelle mani di Lorenzo diventa il solito prato fiorito, profumato ed avvolgente.

Dopo “Galmandsværk” del 2017, Uffe Lorenzen si ripete: realizza ogni volta album deliziosi in cui la buona scrittura è unita ad una genuina mappa emotiva assai coinvolgente. In fondo, si può chiedere di più ad un artista?

Eugenio Di Giacomantonio