VOID OF SLEEP – Tales Between Reality and Madness
Arriva il primo full-length per i ravennati Void of Sleep dopo “Giants & Killers”, EP autoprodotto, uscito nel 2011. “Tales Between Reality and Madness”, registrato nell’estate del 2012, si presenta come un lavoro granitico e deciso: le influenze del quartetto romagnolo sono lampanti e variegate. Dall’heavy psych dei Seventies, allo stoner e lo sludge più viscerali senza disdegnare aperture e passaggi più propriamente prog e post rock. Il disco parte deciso con “Blood on My Hands”, song di evidente discendenza sabbathiana: riff di chitarra massiccio e suono ipersaturo, non si poteva chiedere un’opener più incisiva. Segue “Windsom of Doom”, pezzo che parte sparato a folle velocità salvo poi rallentare, accomodarsi e perdere quella spinta che ne caratterizza l’inizio.”The Great Escape of the Giant Stone Man” è un roboante titolo per una roboante canzone! Una chitarra esplosiva e una batteria cavalcante si intrecciano facendo esplodere il brano fino alla spaziale deriva heavy psych del finale. Sicuramente la vetta del disco. “Lost in the Void” presenta più venature prog delle composizioni precedenti. Risulta incisivo il lavoro del batterista Allo, che dà brio a una canzone che in più di un momento sembra ritrovarsi senza sbocco. Batterista che spicca anche nella traccia successiva “Ghost of Me” dove si sente una lontana eco dei Tool. “Mirror Soul Sickness” è una fase di leggera stanca, non presentando guizzi particolari. L’album si chiude con “Sons of Nothing” dove riemergono le influenze prog e post rock con un finale tra crescendo di batteria e feedback chitarristici degno di nota.
A conti fatti, “Tales Between Reality and Madness” si può considerare un debutto molto riuscito, anche se i Void of Sleep a volte non sembrano avere le idee chiare e tendono a fare confusione tra le varie fonti di ispirazione. Se nella prima parte è la componente stoner/sludge a farla da padrone (la più convincente), nella seconda predominano le influenze progressive e post e l’album tende a perdere vitalità. Degna di nota rimane comunque l’abilità strumentale di questi ragazzi, soprattutto il piglio e la vivacità del batterista che in più di un momento ravviva l’ascolto e l’andamento dei pezzi.
Giuseppe Aversano