WE – Wooferwheels

Pur non avendo mai raccolto gli stessi frutti del successo dei complementari connazionali Motorpsycho, bisogna elogiare i We per tutto ciò che di buono hanno creato durante la loro pluri-decennale carriera (attivi dal ’93!). Un’ingiustificata ‘assenza’, probabilmente dovuta a distribuzione e promozione all’epoca inadeguate.Il 1998 è l’anno di emissione della 3° fatica del gruppo, “Wooferwheels”. L’album è un’ulteriore conferma della natura composita e complessa della proposta del quartetto norvegese.
L’atmosfera che si respira, trasuda di acida psichedelia in ogni singola nota dei 50 minuti abbondanti del disco. Tuttavia, gli sbalzi umorali degli We sono diversi e del tutto inediti. Prendiamo la title-track ad esempio: formalmente ci si trova di fronte ad un incredibile ibrido tra allucinato stoner-psichedelico e pomposo hard-rock di matrice USA; il chorus è un’eslposione di distorsioni che facilmente si insinua nella mente e nella bocca dell’ascoltatore.
“Last Argument Of Kings” inizia all’insegna di un rituale chitarra-voce dai tratti orientaleggianti per poi sgorgare in un ritornello schizoide che potrebbe ricordare alla lunga gli ultimi Ministry (voce e distorsioni varie fanno riferimento all’incedere dell’Al Jourgensen più dopato durante tutto l’album). Stesso incedere anche in “Inbetween The Days”: cullante mini-jam e definitivo sfogo nel saliscendi stoner dei chorus. E’ un denso dark-acid-rock a caratterizzare “Stuks Of Khun De Prorok”, oltre 10 minuti di trip psico-fisico senza speranza alcuna. Si torna alla calma, come se dopo l’overdose ci si stende con l’incenso acceso e luci soffuse: è il momento di “Chase Vampire Tribute”, la sua avvolgente chitarra dilatata e ritmi tribali in sottofondo.
Le antiche preghiere kraut-space rock dei maestri di 35 anni fa culminano in chiusura con “Im Dschungel Von Kraut”, quasi con la funzione di rito propiziatorio.
Un album a tratti indecifrabile, ma le cui note possono seriamente danneggiare le nostre funzioni percettive.

In parole povere: Paura e Delirio a Oslo.

Giacomo Corradi