PAUL CHAIN

Idea interessante quanto ambiziosa quella di condensare in un blocco la carriera di PAUL CHAIN, artista che da 30 anni (ricorre giusto quest’anno il trentennale della sua fondazione dei Death SS) divide pubblico e critica. Nel corso degli anni Paolo ha abbracciato ogni componente della materia musicale, esaltando e deludendo allo stesso tempo chiunque si sia confrontato coi suoi lavori.La sua discografia è quasi sterminata, quindi in questo box analizzeremo i lavori più significativi ed in linea con le sonorità trattate dal sito.

“Detaching from Satan” (1984): È il debutto di Paolo all’indomani dello scioglimento dei Death SS: un mini album che con soli 4 pezzi rappresenta una pietra miliare del dark sound italiano. Nulla del passato musicale è rinnegato, si ha più che altro un mutamento delle tematiche trattate, abbandonando il satanismo per dedicarsi ad una ricerca spirituale basata sul continuo binomio vita/morte. L’iniziale “Occultism” è il manifesto del nuovo percorso del nostro, un perfetto esempio di dark metal spiritico, ma la perla è la conclusiva “17th day” (cantata dall’enigmatico Gilas, colui che avrebbe dovuto originariamente sostituire Steve Sylvester nei Death SS), un capolavoro di sepolcrale doom metal con un assolo di chitarra che pare provenire direttamente dagli inferi.

“In the darkness” (1986): Il primo full lenght conferma Paolo come artista di culto assoluto all’interno della scena dark. La spettrale “Welcome to my hell” (una ballata elettrica di grande pathos) apre un album nel quale vengono alla luce le basi blues/psichedeliche del nostro (specialmente in brani come “Meat”, “Crazy” e “Woman and knife”). Compare per la prima volta (e ciò sarà una caratteristica dei dischi futuri del pesarese) un brano dark prettamente basato su synths, l’orrifica “War”, mentre la finale title track è un altro capolavoro doom metal (Tony Iommi la plagerà costruendoci sopra il brano “The eternal idol”).

“Highway to Hell” (1986): È la prima realizzazione di Paolo dopo un grave incidente automobilistico che comporta conseguenze a livello fisico e, soprattutto, morale al nostro. “Never cry” è una cavalcata doom dotata di un bellissimo mood di fondo. “The evil and the sorrow” (proveniente dal vecchio repertorio dei Death SS) una lunga suite dal notevole pathos horror, mentre la conclusiva “Way to pain” si sviluppa come una ballata crepuscolare impostata su chitarre acustiche di stampo celtico accompagnate da voci effettate (il riferimento ad alcune cose dei Led Zeppelin è palese).

“Opera 4th” (1987): Rappresenta probabilmente l’apice creativo della prima parte della carriera di Paul Chain, nonché il disco più ambizioso realizzato dall’artista fino all’epoca. Il lato A è costituito da un’unica lunga e tenebrosa suite (30 minuti) di dark orchestrale, mentre sul lato B trovano posto alcune delle più belle e significative canzoni del nostro: la granitica “Evil metal”, la stupenda doomy “Bath chair’s Mary” (dedicata alla sorella Silvia) e l’onirica “Resurrection in Christ”.

“Life and death” (1989): Il disco segna il ritorno al dark sound tradizionale ed è considerato uno dei migliori dell’intera carriera di Paolo. Gemme doom come “Antichrist” e la spettrale “Cemetery” si alternano alla celtica “Ancient caravan” e a cantilene dark come “Oblivious”. Merita particolare segnalazione “My hills”, assolutamente trascinante e nella quale il nostro sfoga la sua passione per le jam blues.

“Alkahest” (1995): Dopo anni di lavori sperimentali (“Violet art” e “Withed sepulchres” intervallati a dischi ambient/sinfonici come “Opera decima” e “Dies irae”), nel 1995 arriva il disco che tutti i fan stavano aspettando. “Alkahest” è il ritorno di Paul Chain al doom metal originario, un disco nel quale la collaborazione con Lee Dorrian contribuisce a creare uno dei 10 top doom album di sempre. “Living today”, “Sand glass”, “Static end” e “Sepulchral life” (forse il brano più nero mai scritto da Paolo) rappresentano le perle di un disco ritenuto da molti l’apice assoluto mai raggiunto dall’artista marchigiano.

Fra il 2000 e il 2002 escono ben quattro album di Paolo (che nel frattempo ha adottato tre monicker per dividere il suo progetto in più esperimenti musicali); ai due lavori orientati sullo space rock psichedelico “Signs from space” e “Cosmic wind” si aggiungono “Master of all times” (incursione del nostro nel campo prog, col risultato di un disco dal bellissimo fascino arcano) e soprattutto lo spettrale “Park of reason”, raccolta di pezzi doom da un lato e dark/ambient dall’altro.

Nel 2003 un annuncio recita “Paul Cahin is dead” e in seguito si provvede a ristampare tutto quanto era rimasto inedito fino a quel tempo; fra le tante cose uscite va segnalata la raccolta “Unrealesed Vol.2”, con la presenza di Wino nei brani doom “Bloodwing” e la splendida “Nibiru dawn”.

Da allora il silenzio assoluto (e voluto) cala sull’artista, nonostante la sua attività prosegua senza soste. Recentemente è stato infatti attivato il sito (www.paolocatena.it) che mostra quanto materiale il nostro abbia composto in questi anni e voglia ancora donare ai suoi fan.

Marco Cavallini

Official site: www.paolocatena.it

Discografia consigliata:
Detaching from Satan (1984)
Opera 4th (1986)
Life and death (1989)
Alkahest (1995)