BABY WOODROSE – Freedom

Lorenzo è tornato. Dopo “Third Eye Surgery” e il successo clamoroso ottenuto in Danimarca da “Kommer Med Fred” degli Spids Nøgenhat (due Grammy vinti come miglior rock album e miglior live band dell’anno), i Baby Woodrose sfornano il settimo disco ufficiale nonché il lavoro più radicale e politico della loro carriera. “Freedom” è un grido di protesta, un urlo a squarciagola contro il massacro di classe e la violenza del sistema capitalistico neoliberista.
Cittadini trasformati in clienti, schiavi del debito e della tecnologia, succubi di paure e pregiudizi. È per combattere questi spettri che Lorenzo ha sviluppato il concetto di moderna slave song. “Tutte le canzoni di questo album affrontano argomenti come il controllo della mente, il lavaggio del cervello, l’impossibilità di andare oltre, la schiavitù e l’oppressione”, ha spiegato. Il risultato si concretizza in nove brani crudi e diretti, registrati e mixati on tape (con Anders Onsberg allo STC di Copenhagen e il mastering di Flemming Rasmussen allo Sweet Silence) per un approccio live-in-the-studio. Quindi zero taglia e incolla e un numero minimo di sovraincisioni.
Un assalto 60’s garage psych che non rinuncia alle melodie a presa rapida, vero marchio di fabbrica della casa. A partire dall’iniziale, aspra e aggressiva “Reality”, passando per i due singoli, il manifesto “21st Century Slave” e la sognante “Open Doors” che, va detto, produce un’immediata dipendenza. Se il vortice lisergico di “Mind Control Machine” non concede scampo, la calma apparente di “Peace” (un malinconico passaggio acustico da brividi lungo la schiena) serve a introdurre le due cover piazzate nella seconda metà del disco. Il classico “Freedom”, spiritual reso immortale da Richie Havens a Woodstock, è restituito con un’anima hard e wah-wah sulfurei senza esclusione di colpi; l’acidissima e fuzzy “Red the Signpost” è una rivisitazione di un brano degli oscuri sperimentatori Fifty Foot Hose, tratto da “Cauldron” del 1968. Non c’è tempo per rifiatare perché “Mantra” è una commovente ballad psych pop che colpisce dritto al cuore. E segna la dicotomia che pervade questo lavoro: la denuncia delle tragedie sociali dei nostri giorni contro la fuga in noi stessi per trovare la vera libertà. Andrà tutto bene, perché mistero, gioia e stupefazione sono ancora possibili, come dimostrano gli otto minuti conclusivi della space jam “Termination”.
Mettete da parte il nuovo iPhone, le promesse di rinascita, le illusioni di rivincita e i “lo dice la scienza”. Con “Freedom”, i Baby Woodrose rivendicano la nostra libertà ed il diritto ad avere una vita dignitosa.
I AM FREE.

Alessandro Zoppo