DRAGONAUTA – CabraMacabra

Posesos de Grito Primal, Supremo Arte, Transmutar! È l’urlo mefistofelico che apre “CabraMacabra”, nuova fatica degli argentini Dragonauta. Che si confermano band di lusso dopo l’esordio “Luciferatu” e gli split in compagnia di Los Natas e Abdullah. Se il debutto dei cinque era un mix di diverse esperienze ed influenze (doom, progressive, jazz, hard rock), questa uscita va ancora oltre, unendo a doom, jazz e prog ampie dosi di metal classico e thrash. Una evoluzione ulteriore che si poteva già assaporare tra i microsolchi di “Ramera del diablo”, “Revolución luciferiana” e “Letargo espiritual”, i tre brani presenti nel cd diviso con gli Adbullah.Il vocalist Federico è sempre gran cerimoniere rituale, un colosso che con la sua voce possente ci introduce in un mondo ossessivo e tenebroso. Strepitoso è il lavoro ritmico di Martín (basso) e Ariel (batteria), così come quello delle due chitarre Daniel e Hernán. I Dragonauta hanno grande padronanza tecnica e in questo caso lasciano da parte l’approccio più diretto scrivendo canzoni dure, intricate, difficili da assimilare ad un primo ascolto. Ma il doom in stile Cathedral misto al thrash più tirato di brani come “Transmutado” e “Dioses del Submundo” non mancherà di mietere vittime. Lo stesso si può dire di “El Festín” o della strumentale “Marcha del Dragonauta”, heavy metal oscuro e funereo, davvero travolgente ed inquietante.
Ovviamente non manca il doom classico che farà felici tutti gli adepti di Lee Dorrian e compagni. Esemplari sono a tal proposito “Necrogalaxia” e “Arcana Premonición”, psycho doom sparatissimo, roba da arresto cardiaco, o “Experienciar”, song dal groove mozzafiato, con riff che entrano nella pelle e non lasciano scampo. Sorprendono invece le fantastiche ed evocative melodie psichedeliche che caratterizzano le elettro acustiche “Funeral Mágico (Parte II)” e “En el Futuro ya no habrá Piedad”. Mentre il finale è un ritorno alle sonorità del primo album con il jazz doom progressivo che scuote “Abducido” e “El Megalito”.
Una conclusione ‘macabra’ per un disco che ci rinchiude in un universo magico.

Alessandro Zoppo